OLIO SU TELA 50x70 CM Di RODOLFO ZITO (1924-1995)

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OLIO SU TELA RODOLFO ZITO (1924-1995)

Opera originale di Rodolfo Zito in buone condizioni, firmata dall'artista.

(Molochio, 12 aprile 1924 – Roma, 4 dicembre 1995)

Rodolfo Zito è nato Molochio, in provincia di Reggio Calabria, nel profondo sud d'Italia, il 12 aprile 1924. È stato un pittore, scultore e poeta italiano di fama mondiale, considerato uno dei maestri della pittura del XX secolo.

Dopo aver immortalato la sua Arte, affrescando numerose cattedrali per trenta anni, nel 1972 per la prima volta espone a Roma, riscuotendo un largo consenso di pubblico e di critica. Sulle ali del successo espone in ogni parte del mondo, ovunque è chiamato a rappresentare l'Arte italiana, raccogliendo premi ufficiali e ambiti riconoscimenti. Le sue opere, dalla valutazione commerciale riconosciuta in continua e costante ascesa, sono sparse in collezioni e musei di tutto il mondo. È morto a Roma il 4 dicembre del 1995.

Questo biografia, nasce dal desiderio di rendere omaggio e, di conseguenza, collocare nella sua giusta dimensione, un uomo e la sua arte, attraverso il suo infaticabile peregrinare artistico. Pittore, Scultore, Poeta che, attraverso la sua "Magna Opera", ha esaltato il principio dell'Estetica Universale, con una visione neoclassica quale espressione moderna di una tradizione culturale antica post-rinascimentale, contrapposta ad una tendenza contemporanea di netto rifiuto per un passato classico, sicuramente irraggiungibile, quindi troppo scomodo da ereditare.

Zito è figlio primogenito Pasquale Zito e di Caterina Zito. Il padre, Pasquale, era un monarchico cattolico fervente, insignito "Cavaliere di Vittorio Veneto" proprio dal "suo Re" (come era solito chiamarlo lui) aveva combattuto in tutte le guerre che attraversarono la prima parte della sua vita: per la sua patria e sempre al grido di Savoia. Autoritario, come solamente un militare poteva esserlo, colto molto sopra la media in una Italia e, soprattutto, in quel suo sud dove l'analfabetismo era una piaga dilagante. Un giovane che studiava erano due braccia tolte al lavoro. È stato anche Agente di una Compagnia di Assicurazioni, la Lloyd di Trieste, una delle più importanti a quell'epoca che gli permise talaltro di dimostrare il senso di amore per il prossimo, aiutando centinaia e forse migliaia di persone ad espletare tutte le formalità, impresa titanica a quel tempo quando il tasso di analfabetismo era altissimo, e consentirgli di poter espatriare e lasciare la loro patria con destini sparsi un pò dappertutto nel mondo, alla ricerca e con la speranza di trovare un lavoro e dare così un avvenire a loro stessi e alle loro famiglie. Spesse volte garantendo personalmente con la sua parola per qualche soggetto che non aveva né arte né parte, sulla loro provenienza, sulla loro cultura e anche sulla loro onorabilità anche quando la loro fedina penale non era poi così tanto immacolata: Pasquale Zito era anche questo, un uomo tutto di un pezzo ma con un cuore enorme.

Il giovane Zito, sin da piccolo, mostra i primi segni che profetizzeranno il suo futuro legame con l'Arte. Monello irrequieto, non completò mai i corsi superiori delle scuole secondarie, lasciando l'istituto nel il primo anno di studi, alla scuola e alle sue claustrofobiche aule, preferisce l'aria aperta, la libertà di decidere le sue giornate nei campi, sulle sua montagna, sempre alla ricerca di novità che possono incuriosire la sua voglia di sapere e di conoscere. Di conseguenza, quale modo migliore per fermare quegli attimi se non quello di immortalarli su dei fogli accidentali o su dei pezzi di tavola ricavati da vecchi mobili ? Emule inconsapevole di un grande pittore del passato, Giotto, come lui ritrae scene pastorali, animali selvatici che lo accompagnano nelle sue scorribande giornaliere. Ricordi conservati gelosamente dalla sua famiglia prima, e dai suoi figli poi. Nonostante la giovane età manifesta già la passione per l'arte e dimostra uno spiccato talento per il disegno estro che non sfugge al Maestro Antonio Cannata, suo conterraneo, che lo prende come suo allievo presso la sua bottega e gli impartisce le basi formali dell'arte figurativa, quali il disegno e la pittura a olio, ma anche lezioni rudimentali sulla tecnica millenaria del "fresco". Preziosissima esperienza che gli darà modo, nella sua vita futura di artista itinerante, di affrescare più di trenta chiese; piccoli e grandi capolavori che gli permetteranno di viaggiare e di perfezionare la sua esperienza artistica. Ma la bottega del suo Maestro è solo una tappa, lo stesso bisogno, la stessa ansia lo spinge a ricercare più vasti orizzonti e a vivere nuove conoscenze. Il giovane artista si sente pronto per il grande salto: Roma ! Dove, però, arriva per un altro motivo, il servizio militare. L'Italia è in guerra, Roma è occupata dai tedeschi, tempi duri per la popolazione romana e lui non ne è escluso. In mezzo a tanto buio, un raggio di sole squarcia le tenebre belliche e lo colpisce in pieno, infatti, a pochi passi dalla sua caserma conosce quella che sarà la donna della sua vita, la sua futura moglie, Luisa detta "Visia".

Il passaggio da un "oscuro" paesino del profondo sud dell'Italia in guerra ad una città, Roma, piena di gente che dall'immediato dopoguerra in poi si è trasformata in una nuova "ville lumière" fu, sicuramente, una esperienza importante nella formazione della personalità del pittore che, inizialmente e piuttosto frastornato, si chiude in un volontario esilio dalla sua "amata arte". Disegnatore di fumetti al "Vittorioso" e vignettista satirico al "Marc' Aurelio", che tanto lustro ha dato a molti altri illustri personaggi, sono le sue prime tappe romane, poi la parentesi ecclesiastica e, qui di seguito, un aneddoto che soleva raccontare in seguito: “correva l’anno Santo del 1950, Roma era invasa da turisti e, soprattutto, pellegrini, di notte disegnavo Madonne e Santi sui marciapiedi di alcune piazze romane, la mattina, mentre io andavo a dormire, alcuni amici prendevano il mio posto e, facendo finta di essere loro gli autori "sporcavano il cielo" e, durante la giornata, ne raccoglievano i frutti (piccole donazioni da parte di turisti, pellegrini e non, estasiati dai “nostri” piccoli capolavori. La sera ci riunivamo per dividersi, rigorosamente, in parti uguali i proventi”. E fu proprio in una di quelle piazze, la più importante, la più famosa al mondo, piazza San Pietro che, un giorno, uno dei suoi amici confessò ad un ecclesiastico, un alto prelato, che l'autore di quel disegno non era lui bensì il suo caro amico Rodolfo. A quel Monsignore piacque molto quella storia e, ancor più, piacque quella mano artistica. In seguito a quell'episodio, gli furono incaricati e ben remunerati alcuni disegni sulla "Passione di Cristo", tavole destinate ad illustrare alcuni testi religiosi. Siamo nell'immediato dopoguerra, l’Italia si ricostruisce, nei sogni e nelle speranze degli italiani; Rodolfo Zito, nel suo periodo di cartellonista (“al soldo” dei nomi più importanti del commercio romano e non solo, tra gli altri “Le Sorelle Adamoli”), racconta parte di quei sogni e quelle speranze illustrando cartelloni pubblicitari che arrederanno, per molto tempo, le strade della Capitale e della provincia.

Ma tutto questo non gli basta, sente che la strada da percorrere è ancora lunga, che c'è ancora tanto da fare, da imparare, da conoscere. Quindi riprende il suo cammino errante, questa volta per il mondo, alla continua ricerca di messaggi nuovi, che sembrano provenirgli dal passato, dai grandi Maestri, attraverso le loro opere d'arte disseminate nei musei e nelle pinacoteche di mezzo pianeta, con testarda insistenza e encomiabile devozione. Il carattere introverso, mediterraneo, non gli permette di legare il suo nome a correnti particolari, tanto meno politiche, che tanta moda, oserei di comodo, fanno in quegli anni '50 e '60 e '70 del secolo XX. Un mondo artistico, pseudo intellettuale, che alle forme classiche, sostituisce la ragione, la psiche, le parole e i concetti. Rodolfo Zito fugge da tutto questo, forse pensando di non essere pronto a quei discorsi, lui che, autodidatta, ha avuto la possibilità di conoscere solamente l'arte del visivo, delle forme plastiche, delle masse michelangiolesche, degli oscuri caravaggeschi, l'arte dei suoi padri. quindi decide di non rientrare in questo mondo artistico che va di pari passo con una tecnologia a lui estranea, di conseguenza si isola di nuovo, solo con la sua arte. Arte alla quale sacrifica ogni spazio della sua esistenza, compreso ciò che gli sta più a cuore, la sua famiglia, i suoi figli. A metà degli anni '60 un'assidua collaborazione con gli antiquari di via dei Coronari, a Roma, i quali gli commissionano tele e tavole con soggetti settecenteschi, che lui firmava con lo pseudonimo "Sittis" e che, molti di loro, furbescamente, faranno passare per buone, originali, di quel periodo. Sì, perché questo "giovane artista" è un pittore venuto da un'altra epoca, dal passato, che dipinge come si faceva una volta, usando le stesse tecniche, gli stessi materiali, che pensa e crea come loro, in poche parole: uno di loro!

Solamente alla soglia dei cinquanta anni, su insistenza di un amico fraterno che, inteso il potenziale, la sua enorme carica artistica, decide di fare il grande passo. Decide quindi di esibirsi per la prima volta con la sua opera, con il suo vero nome: Rodolfo Zito, "R. Zito" sulle tele.

Insieme all'immediato successo di pubblico, anche la critica ha speso fiumi di parole e apprezzamenti lodevoli per questo "nuovo artista". Parole entusiastiche che lo hanno accompagnato nel secondo tragitto della sua vita artistica. E se è vero che certa critica poteva essere di parte, in vendita, con Rodolfo Zito non è successo, perché anche se alcuni critici sono stati retribuiti, i loro interventi, i loro contributi, sono stati sinceramente aiutati dal fatto che si trovavano davanti ad un grande artista, un grande maestro. Che non c'era niente da inventare, che le loro poche parole erano solamente da supporto a quello che Rodolfo Zito mostrava, a quello che esprimeva sulla tela, una pittura semplice, terrena e di facile interpretazione; una pittura legata alle più classiche tradizioni, una pittura che non nasconde concetti intrinsechi, una pittura che traspare, attraverso le sue forme e i suoi colori, tutta la potenza e tutta la rabbia di un uomo, di stirpe mediterranea, che vuole raccontarsi e che vuole raccontare la "Tragedia dell'Uomo".

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