Dio Padre, Figlio e Angeli Fedeli. Paradiso Perduto. Milton.+ Passepartout. 1881

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Venditore: enotrius ✉️ (7.941) 99.4%, Luogo in cui si trova l'oggetto: SALERNO, IT, Spedizione verso: IT, Numero oggetto: 401790407607 Dio Padre, Figlio e Angeli Fedeli. Paradiso Perduto. Milton.+ Passepartout. 1881. Assai di più che per natío diritto. All’uom caduto, onde tue laudi il Cielo. Così tu salvi il condannato mondo;. Perfetta gioia, dagli estremi danni. 380 Questa celeste gloria e questa eterna. Abbasserai perciò.

 

 

 

 

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DIDASCALIA: .....  PIU'  CHE  LE  STELLE GLI  STANNO  INNUMERABILE  D'INTORNO GLI  ECCELSI  CORI  CHE  INEFFABIL  GIOIA TRAGGON  DALLA  SUA  VISTA, ..... LIBRO  III,  v.  77 - 80. AUTORE: Gustave  Doré. *  RIPORTO  INTEGRALMENTE  IL  LIBRO  III  DELL'OPERA,  A  SCOPO  DIDATTICO-DIVULGATIVO. CHI  NON  E'  INTERESSATO  A  LEGGERE  IL  POEMA,  PUO'  SALTARE  I  VERSI  E  LEGGERE  LA  DESCRIZIONE  DELLA  XILOGRAFIA.

Dio dall’alto del suo trono vede Satáno che vola verso questo mondo allora novellamente creato. Lo addita al Figlio assiso alla sua destra: predice che Satáno riuscirà nel pervertire l’uomo, e dimostra che, avendo egli creato libero e capace di resistere al Tentatore, la sua divina giustizia e sapienza non possono in verun modo accusarsi. Dichiara che questa sua divina giustizia e sapienza non possono in alcun modo accusarsi. Dichiara che questa giustizia divina vuole una soddisfazione, e che l’uomo dee morire con tutta la sua posterità, se qualcun atto ad espiare la offesa di lui non si sottomette alla pena che gli è dovuta. Il Figlio di Dio si offerisce volontario, il Padre accetta, consente alla sua incarnazione, comanda a tutti gli Angeli di adorarlo, e tutti i Cori, unendo le voci loro al suono delle arpe, celebrano la gloria del Padre e del Figlio. Satáno intanto scende sull’erma convessità del più estremo orbe di questo universo; di là fa passaggio nel sole, ove egli trova Uriele reggitore di quella sfera; ma prima si trasforma in un Angelo dell’ordine minore, e col pretesto che uno zelo ardente l’ha spinto a intraprendere quel viaggio per contemplare le cose novellamente create e l’uomo principalmente, si informa del luogo ove questi dimora. Saputo ciò, si parte e cala sul monte Nifate.

  Salve, o del cielo primigenia figlia, O dell’Eterno coeterno raggio, Se tal nomarti senza biasmo io posso, O sacra luce. E nol potrò se Iddio, 5 Iddio medesmo è luce, ed altro albergo, Fin dall’eternitade egli non ebbe Che il tuo fiammante inaccessibil grembo, O d’increata rifulgente essenza Fulgido effondimento? O se piuttosto 10 Ami esser detta un puro etereo rivo, La tua sorgente chi dirà? Tu pria Fosti del sol, tu pria de’ cieli, e all’alta Voce di Dio, come d’un manto, il mondo Di te stessa avvolgesti allor che, tolto 15 All’infinito informe Vôto, ei fuora Dalle negre sorgeva acque profonde. Or con ali più ardite a te ritorno Da’ laghi Stigi alfin scampato, ov’io Tante or medie or estreme a varcar ebbi 20 Tenebre nel mio volo, e ad altro suono Che quel soave della Tracia lira, Della Notte e del Cao gli orror cantai. Dalla celeste Musa a entrar nell’ima Buia discesa instrutto e ver le stelle 25 A risalir per via solinga e dura, Salvo a te riedo, o bella Luce, e sento L’alma tua lampa che di vita è fonte; Ma tu questi occhi a visitar non torni Però, che in cerca del tuo raggio invano 30 Rotansi, e albór non trovano: tal denso Vel li ricopre, o lor pupille ha spente Maligno umor! Ma non per questo io cesso D’ir là vagando ov’ha più spesso in uso Di far sua stanza delle Muse il coro, 35 Lungo un limpido fonte, o in colle aprico, O in ombroso boschetto: un così forte Amor de’ sacri carmi il sen m’infiamma. Ma te, Sionne, in prima, e i tuoi fioriti Soavemente mormoranti rivi 40 Che il sacro piè ti bagnano, notturno A visitar io vengo, e spesso in mente Mi tornano que’ duo ch’ebber con meco Egual destino (egual così foss’io A loro in fama almen!), Tamiri il cieco 45 E ’l cieco Omero, e di que’ Vati antichi, Tiresia e Fíneo, mi sovvien pur anco. Allor mi vo di que’ pensier nudrendo Onde sgorgano poi spontanei e pronti Armonïosi versi, e a quel somiglio 50 Vigile augel che sott’ombrosa chiostra Nascoso intuona il suo notturno canto. Le stagioni così riedon coll’anno, Ma il giorno a me non riede: io più non veggo Nè i dolci raggi del mattin che spunta, 55 Nè quei del sol che cade; io più non veggo Di primavera i fior, nè rosa estiva, Non più scherzosi armenti, non più mandre, E non più volto d’uom, divina imago: Ma folta nube invece e buio eterno 60 Mi cinge intorno e dai piacer che dolce Fanno la vita, mi divide: invano Del bel saper, delle grand’opre sue Apre natura il libro; è per me tutto Oscuro, vôto, cancellato, e chiusa 65 M’è a Sapïenza una gran via per sempre. Tanto più vivi dunque, o tu, celeste Luce, i tuoi rai nella mia mente infondi E ne illustra ogni parte, occhi migliori Tu m’apri in essa e ne disgombra e tergi 70 Ogni bassa caligine terrena, Onde scorgere io possa e altrui far conte Negate a mortal guardo arcane cose. Dal luminoso empireo, ov’egli siede In alto soglio ch’ogni altezza avanza, 75 L’onnipossente Padre, in giù rivolse Gli occhi a mirar le sue grand’opre e l’opre Che uscivano da lor. Più che le stelle Gli stanno innumerabili d’intorno Gli eccelsi Cori che ineffabil gioia 80 Traggon della sua vista, ed ave a destra Della sua gloria la raggiante imago, L’unico Figlio: sulla terra i nostri Due padri antichi, i soli due tuttora Dell’umana progenie, ei mira in prima, 85 Che dell’almo giardin nella romita Sede coglieano gl’immortali frutti Di gioia e amor, di non turbata gioia, D’amor senza rivali; indi l’inferno E ’l golfo immenso che dal ciel lo parte, 90 Egli risguarda, e là Satán che il vallo Del ciel costeggia ov’ha confin la notte, Satán che in alto per quell’aer fosco Con ali stanche e con bramoso piede Piegava omai vèr l’erma esterna faccia 95 Di questo mondo che pareagli salda Terra priva di cielo, e incerto egli era Se aere o vasto Oceáno in sen l’abbracci. Con quello sguardo, innanzi a cui s’aduna Ogni passata, ogni presente ed ogni 100 Futura cosa, Iddio dall’alto il mira; E ’l tutto antiveggendo, in questi accenti Rivolto al figlio: Unico figlio, ei dice, Vedi tu là d’atroce rabbia acceso Il nostro fier nemico, a cui prescritti 105 Sono confini invan, cui non le sbarre, Non le catene dell’inferno tutte E non l’interminabile frapposto Oceano ponno rattener? Vendetta, Disperata vendetta ei sol respira 110 Che più pesante sull’altera testa Pur gli dee ricader. Da tutti i suoi Ritegni disfrenato, ei della luce Entro i recinti, non lontan dal cielo Or batte l’ali ed al testè creato 115 Mondo s’indrizza, onde tentar se possa D’aperta forza incontro all’uom far uso, O con danno maggior, gl’inganni oprando, Dal dritto calle travïarlo, e fia Ch’ei lo travolga. A sue lusinghe orecchio 120 Darà l’incauto e a sue menzogne, e il solo Divieto mio, quel pegno sol ch’io volli D’ubbidïenza ei romperà: ribelle A me farassi, egli e sua stirpe infida. Colpa di chi, se non di lui? L’ingrato 125 Quanto aver mai potea, da me tutt’ebbe: Giusto e retto io lo fei, vigor bastante A reggersi gli diedi, ancor che insieme Libertade al cader. Tali io creai Tutti gli eterei Spiriti diversi, 130 Quei che fedeli a me restaro e quelli Che mi volsero il tergo. Ognun che stette, Libero stette, e libero pur cadde Ognun che cadde: e qual sincera prova Di vera lealtà, di fè, d’amore 135 Darmi potean, da libertà divisi? Quello così ch’eran d’oprar costretti Sol fora apparso, e il lor voler non mai. Se volontade, se ragion (chè questa Pur nella scelta sta) senz’uso e vane, 140 Alla necessitade ivan soggette, Qual dal loro ubbidir merito e lode Potean essi raccorre, io qual diletto? Come convenne, io li creai, nè ponno La man che li formò, la loro essenza 145 Giustamente accusar, qual se catena Alla lor volontà fosse un destino In decreto immutabile e nell’alto Mio preveder già fisso. Essi, non io, Decretaro il lor fallo; e s’io ’l previdi, 150 La previdenza mia qual ebbe parte Nella lor colpa? Se imprevista ell’era, Sarìa stata men certa? In guisa alcuna Il Fato dunque e l’antiscorger mio Non li sforzò, non mosse; e fu lor opra 155 Il giudizio, la scelta e la ruina. Liberi fur color, libero al pari È l’uomo, e tal sarà, finchè nei turpi Lacci per sè medesmo ei non s’avvolga. Se no, cangiar la sua natura e quello 160 Eterno, irrevocabile, decreto Dovrei per esso cancellare, ond’io D’intera libertà gli feci il dono, E per cui vuol cader ciascun che cade. Figlia d’orgoglio reo, di scusa indegna 165 La colpa fu di que’ celesti Spirti Che depravâr, sedussero se stessi; Ma gioco è l’uom di lor maligna frode; Quindi ei trovi mercè, mercè non mai Trovin color. Così la gloria mia 170 Per giustizia e pietà fia che risplenda In terra e in ciel, ma di più vivo raggio Prima ed estrema la pietà rifulga. Mentre Dio sì parlò, d’ambrosia un’alma Fragranza il cielo tutto intorno empieo, 175 E de’ beati eletti Spirti in seno Novello gaudio inenarrabil sparse. Di gloria incomparabile fu visto Splendere il divin Figlio; e tutto in lui Mostrarsi espresso il sommo Padre: in volto 180 Pietà celeste, immenso amore, immensa Grazia gli riluceano, e, Padre, ei disse, Oh quanto dolce ne’ tuoi detti estremi Fu la parola che il perdon promette All’uom caduto, onde tue laudi il Cielo 185 Farà sonare altissime e la terra Con inni senza fine, e fia tuo nome Benedetto in eterno! Alfin perduto L’uom dunque andría per sempre, ei ch’è l’estrema Opra delle tue mani e la più cara, 190 Egli che cade, è ver, ma tratto e spinto Da iniqua frode al precipizio? Ah! Padre, Sia da te lunge un tal rigor, sia lunge Da te che sei d’ogni creata cosa Il giustissimo giudice. Vorresti 195 L’empio disegno del nemico nostro Far dunque lieto e vano il tuo? Fia paga La sua malizia e tua bontà distrutta? Dunque agli abissi suoi, benchè dannato A maggior pena, ei tornería superbo 200 Della presa vendetta, e seco insieme Nell’eterno dolor trarría l’intera Da lui corrotta umana stirpe? Adunque Tu l’opre tue strugger vorresti, e quello Per lui disfar che per tua gloria festi? 205 Ah! che la tua bontà, la tua grandezza Altro chieggon da te. Figlio, rispose L’onnipossente Padre, o Figlio, in cui La sua gioia maggior trova quest’alma, Figlio di questo sen, che sei mio Verbo 210 E Sapïenza ed efficace Possa, A’ miei pensieri, a’ miei decreti eterni Ogni tuo detto appien consuona. Ogni uomo Perduto non andrà; chi vuol, fia salvo; Non già pel solo suo voler, ma retto 215 Da quella grazia ond’io farogli dono Liberamente: io le languenti forze In lui ravviverò ch’a impure e guaste Voglie il peccar sommesse; anco una volta Col mio sostegno il suo mortal nemico 220 Affronti in pari agon, ma vegga insieme Quant’ei sia fral senza il sostegno mio, E senta che il suo scampo a me si debbe, A me sol, non ad altri. Io già fra tutti Mi elessi alcuni e di mia grazia i doni 225 (Fu tale il mio voler) versai sovr’essi. Gli altri sonarsi in core udran sovente La voce mia che dalle torte vie Richiameralli del fallir, l’offeso Mio Nume ad implorar, finchè sia tempo 230 Di grazia e di perdon. Dai ciechi sensi, Quanto lor basti, io la caligin densa Disgombrerò: que’ duri cori a’ preghi, Al pentimento, all’obbedir saranno Ammolliti e piegati; e a’ preghi loro, 235 Al pentimento, all’obbedir, se schiette Saran lor brame e lor pensier, non sorda Avrò l’orecchia mai, non chiusi i lumi. Dentro il lor sen la Coscïenza, il mio Incorruttibil giudice e sicura 240 Guida io porrò, cui se daranno ascolto, Luce maggior da non spregiata luce Otterran sempre, e, in lor proposto immoti, Usciran salvi di lor corso a riva. Ma chi di mia pietà disprezza i giorni 245 E ’l mio lungo soffrir, pietà non speri: Alle tenebre sue tenebre aggiunte Saran, durezza alla durezza, inciampo A inciampo, e al suo cader cadute e morte. Solo a costor la mia pietade è chiusa. 250 Ma tutto ancor questo non è: sleale L’uom, col disubbidir, rompe ogni omaggio Ed al suo Dio tenta agguagliarsi; ei tutto Perde così, nè via gli resta alcuna Ad espïar suo tradimento. A morte 255 Con tutti i figli suoi devoto e sacro Egli è perciò; morir ei debbe, o debbe Mia giustizia perir, se altra non s’offra Vittima degna e volontaria il duro A compier sacrificio, e morte accetti 260 Per l’altrui morte. Or dove fia che tanto Amor si trovi? Chi di voi, celesti Alte Possanze, esser vorrà mortale A salvar l’uom dal suo mortal delitto? Qual giusto andrà per un ingiusto a morte? 265 V’ha in tutto il ciel chi nudra un così bello E sì sublime affetto? Ei disse, e niuno Degli Spirti celesti il labbro mosse; Alto silenzio in ciel si fe’: dell’uomo Niun difensore o intercessor comparve, 270 E meno ancor chi la mortale ammenda E ’l gran riscatto di recare osasse Sul proprio capo. Or la final sentenza D’eterno danno sull’umana stirpe Già si compieva; e già tenean lor preda 275 Morte ed inferno; ma il divino Figlio, Che del divino amor tutti rinchiude Gli ampi tesori in seno, ecco interponsi, E sì favella: È proferita, o Padre, La tua parola: sì, grazia e perdono 280 L’uom troverà. La grazia tua che tutte S’apre le vie, che de’ tuoi messi alati È la più ratta, e le dimande, i preghi, Le brame anco previen, dal corso usato Or rimarrassi? Ah! che sarìa dell’uomo, 285 Se tal’ella non fosse? Ei nelle colpe Morto e perduto, unqua cercar non puote Il soccorso di lei, nè alcun restauro A far per sè gli resta o degna offerta, Di tutto debitor, di tutto privo. 290 Eccomi dunque, io per lui m’offro, io vita Per vita do, sulla mia testa cada Lo sdegno tuo, m’abbi qual uom, per lui Il sen paterno io lasciar vo’, partirmi Dalla tua destra glorïosa, e pago 295 Son per lui di morire: in me rivolga Morte sua rabbia e tutta in me la sfoghi. Non rimarrò sotto il suo buio impero A lungo io già; tu posseder mi desti In me medesmo sempiterna vita: 300 Sì, per te vivo, ancor ch’io ceda a morte, E quanto in me potrà perir, sia tutto Di sua piena ragion; ma poichè reso Quel tributo le avrò, tu me sua preda Non lascerai, nè dell’immonda tomba 305 Entro gli orrori soffrirai che sempre L’alma mia pura ed immortal soggiorni. Sì, vincitore indi alzerommi, a Morte Torrò sue spoglie, ed il suo dardo stesso In lei torcendo, sotto i piè porrommi 310 L’altera vincitrice oppressa e vinta. Del debellato e invan fremente inferno Io le negre Possanze alto pe’ vasti Campi dell’etra al trïonfal mio carro Trarrò in catene, e tu, contento, o Padre, 315 A me sorriderai dal soglio eterno Per la mia man del tuo vigor ripiena Veggendo spento ogni nemico, e Morte Del suo scheletro stesso alfin la tomba Empiere e disfamar. Così dal largo 320 Stuol de’ redenti miei seguìto e cinto Farò ritomo a queste sedi alfine, E innanzi, o Padre, a te, sul cui sembiante, Non più si mostrerà nube di sdegno, Ma pien perdono, inalterabil pace 325 E amor e gioia splenderanno eterni. Tacque, ciò detto, ma tuttor parlava Anco tacendo il suo soave aspetto Tutto spirante un immortale amore Vèr l’uom mortale, amor che vinto in lui 330 Dall’alto ossequio filïal sol era. Lieto di gire al sacrifizio, i cenni Sol del gran Padre attende. Alto stupore Tenea sospeso il ciel che i detti arcani Non comprendea; ma senza indugio il sommo 335 Padre così soggiunse: O tu, che sei Mio sol diletto, o tu, che in cielo e ’n terra Resti al genere uman caduto in ira Unica pace, unico asil, tu sai Quanto a me l’opre mie tutte sian care; 340 E se l’uom, benchè estrema, ancor mi sia Caro d’ogn’altra al par, mentr’io consento Che tu dalla mia destra e dal mio seno T’allontani per esso, onde un tal poco Io te perdendo, la perduta intera 345 Sua stirpe salvi. A tua natura dunque Quella di lor congiungi, i quai tu solo Redimer puoi. Sovra la terra scendi, Sii fra gli uomin laggiuso uomo tu stesso, Con portentoso nascimento umana 350 Carne vestendo entro virgineo grembo, Quando fia tempo; e dell’uman lignaggio Capo e padre sii tu, d’Adamo invece, Benchè figlio d’Adam. Com’essi a morte Van tutti in lui, sì richiamati a vita, 355 Qual da nuova radice, in te saranno Tutti color che otterran scampo, e niuno L’otterrà senza te. Nel suo delitto, D’infetto tronco infetti rami, involti Son tutti i figli suoi; tuo merto quindi 360 Riparator sopra ciascun si stenda Che l’opre ingiuste sue per te rifiuti, Per te le giuste ancora; egli riceva, Rigermogliando in te, vita novella, Quasi in novello suol trasposta pianta. 365 Così ciò che l’uom dee, l’uom fia che paghi: (Giusta ragion il vuole) a sua sentenza Ei soggiaccia così, mora, risorga, E, risorgendo, i suoi fratei che a prezzo Di sua vita scampò, seco pur levi. 370 Sarà in tal guisa dal celeste amore L’infernal odio vinto, ancor che troppo Nobile e prezïosa ostia ripari Quanto l’inferno per sì facil via Distrusse e ancor distrugge in lor che sordi 375 Stan della Grazia all’amoroso invito. Nè mentre tu dell’uom l’umil natura In te rivesti, la tua propria e diva Abbasserai perciò. Se lasci il trono, Su cui tu siedi eguale a me, se lasci 380 Questa celeste gloria e questa eterna Perfetta gioia, dagli estremi danni Così tu salvi il condannato mondo; E così, figlio mio, per proprio merto Assai di più che per natío diritto 385 Ti mostrerai: la tua bontà sublime, Più che la tua grandezza, al grado eccelso Egual t’attesterà: maggior l’amore Fu che la gloria in te; quindi fia teco, Mercè tanta umiltà, la stessa ancora 390 Umanitade tua quassuso alzata, Ed incarnato sederai su questo Soglio medesmo, Uom Dio, prole divina E umana insiem, Re universal dell’almo Licore asperso della sacra oliva. 395 Ogni poter ti do, tuoi merti assumi, Eterno impera, a te soggetti sono, Come a supremo Sir, Principi e Troni, Possanze e Regni. Quanto in cielo e ’n terra E nel profondo tartaro soggiorna, 400 A te dinanzi incurverassi umìle; E un giorno alfin verrà che intorno cinto Di queste empiree squadre, in mezzo al cielo Apparirai; di là tuoi messi alati Dell’apprestato tribunal tremendo 405 Andran l’avviso ad arrecar: repente I vivi tutti e tutti insiem gli estinti D’ogni trascorsa età (tal suon dal lungo Sonno fia che li scuota!) al tuo cospetto La sovrana ad udir sentenza estrema 410 S’affretteran da tutti i punti a un tempo Del costernato mondo. In mezzo all’ampio Stuolo de’ Santi tuoi gli Angeli rei E i rei mortali il gran giudizio udranno Che lanceralli entro l’abisso: allora 415 Sazio sarà l’inferno e le sue porte Chiuse per sempre. Immense fiamme intanto La terra, gli astri, ogni creata cosa Alla tua voce struggeran, ma tosto Dalle ceneri lor novella terra, 420 Novello cielo sorgeran più belli. Ivi gli Eletti tuoi faran dimora, E, dopo i lunghi tollerati affanni, Aurei giorni vedran d’auree fecondi Giustissim’opre e trïonfar tra loro 425 Amor e gioia e veritade e pace. Tu allor porrai da canto il regio scettro; Chè più non n’avrai d’uopo, e tutto in tutti Iddio sarà. Voi, divi Spirti, intanto Innanzi a lui che ad eseguir la grande 430 Impresa muor, prostratevi, ed onore Eguale al genitor riceva il figlio. Così dicea l’Onnipossente, e tutti Gli Angeli allor d’un alto e dolce plauso, Qual vien da immenso stuolo e da soavi 435 Beate voci, empiero il cielo, e lungi Echeggiar fe’ l’eterne sedi un lieto Osanna glorïoso. Ai troni augusti Profondamente ognun s’inchina e al suolo Riverente ed umìl la sua depone 440 Aurea corona d’amaranto intesta, D’amaranto immortal purpureo fiore Che all’arbor della vita in Paradiso Già cominciava a germogliar vicino; Ma pel fallo dell’uom trasposto venne 445 In ciel ben presto ov’esso nacque in prima. Ivi or cresce e s’infiora e della vita Alto adombra la fonte e i campi, dove Per mezzo al cielo il fiume della gioia Più dell’elettro limpide e fragranti 450 L’onde sue placidissimo rivolge. Di quei sempre vivaci eletti fiori Si fan corona alle splendenti chiome I divi Spirti, e ricoperto allora Di tanti sparsi serti il suol celeste, 455 Simile a un mar di fulgido diaspro, Ridea vermiglio e fiammeggiante intorno Di quelle porporine eteree rose. In fronte quindi si ripongon tutti Le lor ghirlande, e l’arpe d’ôr lucenti 460 Che pendon loro quai faretre a lato, Recansi in mano, arpe accordate ognora, E discorrendo con maestre dita Le corde in pria, preceder fanno al canto Soave sinfonìa ch’erge a sublime 465 Estasi l’alme: indi dell’arpa al suono Ciascun la voce accoppia, e non è voce Che discordi lassù dove suprema In tutto regna consonanza eterna. Te in pria cantaro, onnipossente Padre, 470 Infinito, immutabile, immortale, Eterno Re, te creator del tutto Che se’ fonte di luce e nell’immensa Luce medesma che t’avvolge il soglio Eccelso, inaccessibile, t’ascondi 475 Impenetrabilmente, e quando ancora Con nube stesa intorno intorno, quasi Tabernacol fiammante, adombri il pieno Fulgór de’ raggi tuoi, da’ lembi estremi Scintilli sì che tutto abbagli il cielo, 480 Nè da vicin può Serafino alcuno Il lampo sostener che fuor ne sgorga, Ma fa con ambe l’ali agli occhi un velo. Indi a te, divin Figlio, a te, divina Rassomiglianza, fu rivolto il canto, 485 A te che pria d’ogni creata cosa Genito fosti, a te nel cui sembiante Visibil fatto, senza nube splende Il sommo Padre, in cui non può per altra Guisa affisarsi occhio creato alcuno. 490 Dalla sua gloria in te l’ardente lume Impresso sta, trasfuso in te riposa L’ampio suo Spirto: egli de’ cieli il cielo, Egli per te le angeliche Possanze Tutte creò, per te lo stolto orgoglio 495 Delle perverse ammutinate squadre Traboccò negli abissi; in quel gran giorno Di sue tremende folgori ministro Fu il possente tuo braccio, e tu le vive Del fero carro sfavillanti rote 500 Che l’eterna scuoteano empirea mole, Sulle cervici a’ rovesciati Spirti Terribile aggirasti. Al tuo ritorno Piene di gioia le fedeli schiere Alto levár solenne plauso, e figlio 505 Te celebràr della paterna possa, Te su i paterni perfidi nemici Aspro vendicator; ma tal sull’uomo No, non sarai. Di scellerato inganno Vittima cade questi, onde tu, sommo 510 Padre di grazia e di mercè, temprasti Coll’infelice il tuo rigor severo E pendesti al perdon: ti scorse in volto Di giustizia e pietà la gran contesa L’unico tuo diletto Figlio e pronto 515 A finirla s’accinse. Ei dall’eterna Gloria del ciel discende, ei s’offre a morte Per l’umano fallir. Oh amor sublime! Oh amore incomparabile, che solo Nel sen d’un Dio può ritrovarsi! Salve, 520 O gran Figlio di Dio, salve, del guasto Genere uman riparator possente; De’ nostri canti ampio suggetto ognora Sarà tuo nome, ognor sull’arpe nostre Suoneranno tue laudi, e mai da quelle 525 Del Padre tuo non suoneran disgiunte. Così ne’ regni di eterna luce Essi spendeano in gioia e in dolci canti L’ore beate. Sulla salda intanto Del rotondo Universo opaca vôlta 530 Ch’ogni altra inferïor lucente sfera In sè rinchiude e del Caosse affrena E delle antiche Tenebre gli assalti, Satán scende e passeggia. Un picciol globo A lui parea da lunge, or terra immensa 535 Gli sembra, oscura, desolata ed erma; Severo ciel che sotto il torvo aspetto Di notte senza stelle ognor si giace, E del Caosse che d’intorno freme Sempre esposto al furor. Solo in quel lato 540 Che del ciel guarda le lontane mura, Per l’aere da’ furenti orridi nembi Meno percosso, un fioco lume ondeggia. Quivi l’iniquo Spirto in largo campo Spazia a grand’agio, ed avoltoio sembra 545 Che là cresciuto ove il nevoso Imao L’argine oppon degli ammontati ghiacci Al vago Scita, dalla trista terra Scarsa di preda sloggia e via sen vola Di pingui agnelli e di capretti in cerca 550 Su per li colli ove le greggie han pasco, Ver le fonti del Gange o dell’Idaspe Dirizzando il cammin, ma scende intanto, Stanco dal lungo vol, sugli arenosi Campi di Sericana, ove sì destro 555 Guida il Cinese i suoi di canna intesti Leggieri carri con le vele e ’l vento, Che scorrer sembra il mar. Così Satáno, Sovra quel suol simíle a mar ventoso, Tutto anelante alla sua preda e solo 560 Su e giù cammina. Tutto solo egli era; Chè là vivente o inanimata cosa Non si trovava ancor, ma poscia allora Che l’opre de’ mortali ebbe la Colpa Piene di vanità, lassù volaro, 565 Come aerei vapori, in larga copia Le cose di quaggiù fugaci e vane. Quest’orbe tenebroso in suo passaggio Il reo Spirto rinvenne e a lungo errando Per esso andò, ma un fil di dubbia luce 570 Tremolando improvviso a sè gli stanchi Suoi passi in fretta volse. Ei lungi scopre Superba mole che alle mura ascende Del ciel per gradi splendidi e infiniti: Ad essa in cima qual di regio tetto 575 Un’ampia porta appar, ma ricca e vaga Oltr’ogni paragon, con fronte adorna D’oro e diamanti: folgorava tutto D’orïentali folte gemme intesto Il grand’arco che in terra ingegno alcuno 580 Nè in rilevate, nè in dipinte forme Solo adombrar non mai potrìa. Simíli Eran le scale rilucenti a quelle, Per cui, fuggendo la fraterna rabbia, Sotto il notturno aperto ciel disteso 585 Là nel campo di Luza il buon Giacobbe Discendere e salir fulgidi stuoli D’Angeli vide in sogno e nel destarsi, Quest’è, gridò, quest’è del ciel la porta. In ogni grado alto divin mistero 590 Si nascondea, nè stettero là sempre Immoti già, ma tratti in ciel talora Fur da invisibil mano. Un luminoso Mar di liquide perle o di diaspro Al di sotto scorrea, su cui gli Eletti 595 Che varcâr poi di terra ai seggi eterni, Fêro in braccio degli Angioli tragitto, O fur rapiti da corsier di foco Oltre quell’onde in su volante carro. Giù la gran scala era calata allora, 600 O perchè dall’agevole salita Lo Spirto reo fosse tentato, o a fargli Sentir più crudo il sempiterno esiglio Dalle beate porte. Incontro ad esse Aprivasi di sotto in ver la terra 605 Un ampio varco che al felice appunto Sito dell’Eden rispondea, più largo Varco di quello assai che sul Sionne E la promessa terra a Dio sì cara Fu schiuso poscia, e per lo qual sovente 610 Gli spediti quaggiù celesti messi A visitar quelle tribù felici Venir soleano e ritornare, e Dio Di là dove il Giordan l’origin prende Fin dell’Arabia e dell’Egitto ai lidi. 615 L’amoroso stendea vigile sguardo. Sì largo era quel varco, ove fur fissi I confini alle tenebre, siccome Del mare all’onde. Ivi Satán s’arresta, E dal grado più basso, onde alla soglia 620 Del ciel conduce l’aurea scala, il guardo In giù volgendo, ad un sol punto scopre L’intero mondo, e all’improvvisa vista Attonito riman. Così guerriero Esplorator che per deserte e buie 625 Vie tutta notte andò fra rischi errando, Sul ciglio alfin d’un erto monte asceso Allo spuntar del mattutino albôre S’arresta e guata, e di repente amene Straniere terre in lontananza scorge 630 Non prima viste, ampia città famosa, E splendenti palagi e torri eccelse Che del sorgente sole il raggio indora. Con tal stupor, sebbene al cielo avvezzo, Va contemplando quel maligno Spirto 635 Quest’Universo; ma più forte il punse Invidia ancor quando sì bello il vide. Tutto per ogni banda egli lo spia (E bene il può di là dove sublime Sovrasta al fosco spazïoso manto 640 Che la notte distende in vasto giro) Dal punto Oriental di Libra infino Al velloso Monton che lungi porta Oltre orizzonte per le atlantich’onde Andromeda lucente. Indi col guardo 645 L’ampiezza tutta dall’un polo all’altro Ei ne misura, e vêr le prime piagge, D’indugio impazïente, in giù si lancia Con vol precipitoso. Obliquo ei torce Pel candid’aere puro il facil corso 650 Fra globi innumerabili che stelle Paion da lunge e davvicin son mondi, Vasti mondi, o felici isole amene Simili a quegli Esperidi giardini Sì rinomati un dì, beati campi, 655 Lieti boschetti, dilettose valli Di fior vestite, e ben tre volte e quattro Isole fortunate. Ei via trascorre, E quai ne sien gli abitator felici Non s’arresta a cercar; ma l’aureo sole, 660 Che più del ciel l’immensa luce imita, Sovra ad ogn’altra stella a sè richiama Lo sguardo suo: colà rivolge il corso Pel firmamento placido (se in alto, Ovvero in basso, o presso il centro, o lungi, 665 Chi ’l potría dir?) dove la nobil lampa Lungi dal folto popolo degli astri Che in convenevol lontananza stanno Dall’occhio suo sovran, loro dispensa Il tesor de’ suoi rai. Con ordin vario, 670 Ma immutabile ognor ne’ varj moti, Al suo rallegrator lume d’intorno La mestosa lor veloce danza Menano quelli, e i giorni, i mesi, gli anni Misuran seco; e forse in giro mossi 675 Son de’ suoi rai dall’attraente forza Che dolce scalda l’Universo e dolce Ogni lontana e più riposta parte Penetra e scuote coll’arcano ed almo Foco sottil: sito ammirabil tanto 680 Fu fisso all’orbe animator del mondo! Colà Satáno approda, e macchia pari A quella ond’egli il lucid’astro adombra, Sguardo mortal d’ottici ingegni armato Forse giammai non vi scoperse: il loco 685 Egli trovò sopra ogni dir lucente, E molto più che non rifulge in terra Terso metallo o gemma. Ogni sua parte Non è simìl, ma sfolgorante e piena, Come di foco è pien rovente ferro, 690 D’egual lume è ciascuna. Oro là sembra, Qua purissimo argento: ivi il fulgóre Del crisolito imíta, o del rubino, O del topazio, o del carbonchio; o quello Dei dodici gioielli, onde d’Aronne 695 Il sacro petto fiammeggiava adorno; Nè il nostro immaginar pinge sì bella Quella mirabil pietra, a cui rivolto Fu de’ creduli Sofi invan tuttora Lo studio ed il sudor, sebben in ceppi 700 Il fuggevole Erméte a por sia giunta La lor arte possente, e su traendo Dal marin fondo il vecchio Proteo sciolto In varie guise ognor, stringerlo sappia A ripigliar per vitrea angusta doccia 705 La sua forma natìa. Mirabil cosa A chi dunque sarà, che spirin quivi Puro elisir le regïoni e i campi, E volgan aurei flutti i fonti e i fiumi, Quando col tocco del sovrano raggio 710 Che nel terrestre umor s’infonda e mesca, Il sol da noi sì lunge, in queste basse Tenebre può produr tante e sì rare Cose ammirande, e trasformar l’impuro Loto in raggianti prezïose gemme? 715 Nulla abbagliato da cotanta luce, Quivi d’alto stupor spettacol novo Trova il maligno Démone, e col guardo Ch’ombra od intoppo non incontra, tutti Signoreggia dell’aere i campi immensi. 720 Come dal sommo vertice del cielo, Colà dove la notte al dì s’adegua, In sul meriggio a noi diritti vibra Quel pianeta i suoi rai, dritti lassuso Così li manda ognor per vie disgombre 725 D’ogni opaco ritegno, e l’eter puro, Qual non è altrove, di Satán gli sguardi Aguzza e guida ai più lontani oggetti. Un Angel glorïoso a un tratto ei scorge, Quell’Angelo medesmo ivi dipoi 730 Da Giovanni veduto: egli a Satáno Volgea le spalle, ma il celeste lume Non cela già che lo riveste; intorno Gli sfavilla alla fronte aurea tïara Intesta de’ più puri eletti raggi, 735 E mollemente sull’alate spalle Gli ondeggia sparso il folgorante crine. Fisso in pensier profondo, ad alto incarco Intento egli parea. S’allegra allora Lo Spirto reo che ritrovato alfine 740 Spera d’aver chi all’Eden drizzi il suo Errante volo, alla felice sede Dell’uom, che al lungo suo viaggio è meta, E principio sarà de’ nostri affanni. Ma per fuggire indugio o rischio, in pria 745 Cangiar la propria in altra forma ei pensa; E tosto un Cherubin leggiadro e vago, Ma non dei primi, ei si dimostra: in volto Fresca gli ride gioventù celeste, E concorde si sparge in ogni membro 750 Grazia e decoro. Il menzogner sembiante Nulla smentisce in lui; vezzoso serto Gli orna le tempie, ed alle gote intorno Gli scherzano ravvolti in vaghe anella I biondetti capelli; ali ha sul tergo 755 Di sparse d’oro variopinte penne; Succinto e lieve è il suo vestir, e innanzi A’ composti suoi passi argentea verga Ei stringe in man. Pria d’appressarsi, udito Dall’Angel fu che il luminoso volto 760 Tosto a lui volse e manifesto apparve L’Arcangelo Urïele, un di que’ sette Che, più vicini al solio dell’Eterno, Stanno pronti a’ suoi cenni, ed occhi suoi Son quasi, che de’ cieli e della terra 765 Le vaste piagge rapidi scorrendo, Van sul suolo a portare, o van sull’onda I suoi decreti. A lui Satán s’appressa E così gli favella: O tu che sei Uno, Urïele, di que’ sette Spirti 770 Che vestiti di gloria innanzi al trono Stan dell’Onnipossente, e per l’eccelse Sfere interpetre sei, sei messaggiero Di quell’alto voler che i figli suoi Umili aspettan dal tuo labbro, e forse 775 Per supremo decreto egual onore Or godi qui d’ir visitando attorno Queste nuove da lui create cose, A te ricorro. Ardente brama il petto Di veder, di conoscere m’infiamma 780 Quest’opre sue stupende, e, più ch’ogni altra, L’uomo, dell’amor suo, del suo favore Oggetto singolar, l’uomo, per cui In sì mirabil ordine ei dispose Quest’Universo. Un tal desìo mi trasse 785 Così soletto a errar lungi dal coro Degli altri Cherubini; ah! tu m’insegna, Inclito Serafino, in qual di questi Splendidi mondi stabilita all’uomo Sia la dimora, o se dimora alcuna 790 Fissa ei non abbia ed in ciascuno scerre La possa a grado suo. Fa ch’io trovarlo Ed in segreto o apertamente io possa Di lui goder la vista, a cui sì largo Fu il sommo Creator di grazie tante 795 E liberale donator di mondi. Così potrem nell’uom, come in ogn’altra Cosa, esaltar quel Facitor sovrano Che al fondo dell’inferno i suoi ribelli Spinse a ragione, e a ripararne il danno 800 Questa nuova creò felice stirpe Che più fedel gli fia. Sagge son tutte L’opre e i disegni suoi. - Così quel falso Angel parlò, nè il ben celato inganno Urïel discoprì; chè dato ad uomo 805 O ad Angelo non è scorger la chiusa Intenebrata Ipocrisia, quel solo Mal che nascoso ad ogni sguardo, e chiaro Soltanto a quel di Dio che andar lasciollo, Della terra e del ciel le vie trascorre. 810 Così sovente la Prudenza ancora Sta vigilante invan, spesso il Sospetto Sulle soglie di lei s’acqueta e dorme, E ’l proprio posto inavveduto cede Alla semplicità che al mal non pensa 815 Dove niun male appar. Da sua bontade Così il rettor del sol, quell’Urïele Ch’ha sovr’ogn’altro Spirito del cielo Acuto il guardo, nell’inganno è tratto; E del suo schietto cor seguendo i moti, 820 Al frodolento infignitor maligno Cotal risposta diede: Angel vezzoso, Questa tua brama che a conoscer l’opre È rivolta di Dio perchè s’esalti Ognor più la sua gloria, anzi che biasmo, 825 Lode ben merta; e più di pregio è degno Quanto più vivo è quello zel che spinto T’ha sì lontan dal tuo celeste seggio In questi lochi e così sol, co’ tuoi Occhi medesmi ad ammirar quel ch’altri 830 Forse d’udir per fama in ciel s’appaga. Ah! degne inver d’altissimo stupore, Degne che in lor sempre il pensier s’affissi, Son l’opre di sua mano e viva fonte Di puro soavissimo diletto. 835 Ma qual creata mente abbracciar puote L’infinito lor numero o ’l profondo Sapere investigar che fuor le tragge Dal nulla e le alte lor cagioni asconde? Presente io fui quando la massa informe 840 Della rude materia in groppo unita Apparve; umile il Cao sua voce intese, S’acchetò dell’abisso il fier muggito, E Immensitade ebbe confini: il labbro Egli di nuovo aperse e di repente 845 Fuggissi il buio, sfolgorò la luce, E dal disordin fuor l’ordine surse. L’acqua, la terra, l’aere, il foco allora Ch’eran fra sè ravviluppati e misti, Ai varj posti lor corser veloci; 850 E l’eterea del ciel sustanza pura, Di varie forme impressa, in su volando In giri si ravvolse, e gli astri, questo D’ardenti faci innumerabil coro, Venne a compor, qual vedi; e ognun suo loco, 855 Ognun suo corso ebbe prescritto. Il resto In cerchio immenso la gran vôlta e ’l muro Formò dell’Universo. Or gli occhi abbassa A quel globo laggiù che a noi rimanda Parte del lume che di qui gli piove 860 Sul lato incontro a noi; la terra è quella, Dell’uom la sede, e quella luce è il giorno Che la rischiara. Ora la notte abbuia L’altro emisfero suo, ma la propinqua Luna (così quell’altra stella ha nome) 865 Coll’improntato suo fulgor le presta Opportuno soccorso, ed alternando Il mensual suo giro, ora di luce Empie ed or vôta il suo triforme aspetto; E così della notte il fosco impero 870 Sopra la terra scema. Or gli occhi porgi A quella macchia che colà t’addito: Il soggiorno d’Adam, l’Eden è quello, E quell’alte ombre il suo ritiro. Vanne; Il tuo cammino errar non puoi: conviensi 875 A me seguire il mio. Ciò detto, altrove L’Angelo si rivolse. A lui Satáno Profondamente s’inchinò, qual suole Spirto minore a maggior Spirto in cielo, Ove dovuta riverenza e onore. 880 Niun mai trascura: indi affrettato e spinto Dalla sua speme, in molte aeree ruote In vêr la costa della bassa terra Precipita il suo volo, e del Nifate In sull’alpestre vetta alfin si cala.

Il Paradiso perduto   (titolo originale: Paradise Lost ), pubblicato nel 1667 , è il poema epico  in versi sciolti (blank verse ) di John Milton  che racconta l'episodio biblico della caduta dell'uomo : la tentazione di Adamo  e Eva  a opera di Satana  e la loro cacciata dal giardino dell'Eden .

Fu pubblicato per la prima volta nel 1667 , in dieci libri; seguì una seconda edizione, del 1674 , divisa questa volta in 12 libri (in imitazione della suddivisione dell'Eneide  di Virgilio ) con delle piccole revisioni nel testo e l'aggiunta di una nota sulla versificazione.

Il poema tratta il racconto ebraico  - cristiano  - islamico  della caduta dell'uomo: la tentazione di Adamo  ed Eva  da parte di Lucifero , e la loro cacciata dal Giardino dell'Eden . Il fine di Milton, espresso nel primo libro, è "svelare all'uomo la Provvidenza eterna " (I, 26) e spiegare il conflitto tra tale Provvidenza eterna e il libero arbitrio.

Il personaggio principale del poema è Satana , l'Angelo caduto . Letto attraverso un prospettiva moderna, a taluni può sembrare che Milton rappresenti Satana in modo positivo e compassionevolmente, come un essere ambizioso e orgoglioso che sfida Dio Onnipotente , suo tirannico creatore, e muove guerra contro il paradiso , per esser poi sconfitto e fatto precipitare in terra. Per meglio dire, William Blake  (1757 -1827 ) grande ammiratore di Milton e illustratore di tale poema epico, disse di Milton che "era un vero poeta, e stava dalla parte del diavolo senza saperlo ".

Vicenda.

La storia è suddivisa in 12 libri, contro i 24 dei poemi omerici dell'Iliade  e dell'Odissea . Il libro più lungo è il IX, con 1189 versi, mentre il più breve, il VII, consta di 640 versi. Ciascun libro è preceduto da un sommario, intitolato L'Argomento . Il poema, seguendo la tradizione epica, inizia in medias res ("in the midst of things "), essendo poi l'antefatto esposto nei libri V-VI...

L'opera di Milton narra due vicende: quella di Satana e quella di Adamo ed Eva. Quella di Satana (o Lucifero) rende omaggio agli antichi poemi epici  di argomento guerresco. Inizia in medias res, dopo che Lucifero e gli altri angeli ribelli sono stati sconfitti e scaraventati da Dio nell'Inferno. Nel "Pandemonio ", Lucifero deve impiegare le sue abilità retoriche per far ordine tra i suoi seguaci; è affiancato dai suoi fedeli tenenti Mammona  e Belzebù . Alla fine della discussione, Satana si offre volontario per avvelenare la Terra, appena creata. Affronta da solo i pericoli dell'Abisso in un modo che ricorda molto quello di Ulisse  e di Enea  dopo i loro viaggi nelle regioni ctonie dell'Oltretomba.

L'altra vicenda è fondamentalmente diversa, una nuova sorta di epica: quella "domestica ". Adamo ed Eva vengono presentati per la prima volta, nella letteratura cristiana , come dotati di attività anche prima di essere macchiati dal peccato: essi hanno passioni, personalità e sesso . Satana tenta Eva con successo, approfittando della sua vanità e ingannandola con la sua dialettica; Adamo, vedendo che Eva ha peccato, commette coscientemente il medesimo errore, mangiando anche lui il frutto proibito. In tal maniera, Milton ritrae Adamo come un personaggio eroico, ma anche come un peccatore ancor più grande di Eva. Dopo aver compiuto il peccato originale, essi hanno ancora caratteristiche sessuali, ma ora con una nuova sorta di sensualità che prima non possedevano. Dopo aver preso coscienza del loro errore, quello appunto di consumare il frutto  dell'Albero della conoscenza , Adamo ed Eva prendono a lottare. Ad ogni modo, le suppliche di Eva ad Adamo fanno sì che i due si riconcilino. Adamo intraprende un viaggio visionario con un angelo , nel quale è testimone degli errori dell'uomo e del Diluvio universale , ed è incommensurabilmente rattristato dal peccato  che hanno commesso attraverso l'assunzione del frutto. Ad ogni modo, gli viene anche mostrata la speranza, e cioè la possibilità di redenzione, attraverso la visione di Gesù  Cristo. Essi, successivamente, vengono banditi dall'Eden , e un angelo aggiunge che qualcuno potrà trovare "un paradiso dentro di sé ". Adamo ed Eva, ora, hanno un rapporto più distante con Dio, il quale è onnipresente ma invisibile, a differenza del tangibile Padre nel Giardino dell'Eden.

Personaggi principali.

Satana.

Inizialmente conosciuto come Lucifero, egli era un orgoglioso angelo che non riusciva a pensare a se stesso uguale agli altri angeli. Il giorno in cui Dio nominò il Figlio suo successore al potere, Lucifero si ribella a causa della propria invidia, prendendo con sé un terzo dell'intera popolazione di angeli del Paradiso. Egli è enormemente pieno di sé, e sicuro di poter abbattere Dio; le sue parole sono sempre fraudolente e ingannevoli. Assume varie forme nel corso della storia, le quali sono il riflesso della sua decadenza morale e razionale. Prima è un angelo caduto di considerevole levatura; successivamente un umile cherubino ; un cormorano ; un rospo ; e infine un serpente . Tutto ciò è la raffigurazione di un'incessante attività intellettuale, senza alcuna abilità di pensare adottando un'ottica morale.

Adamo ed Eva.

Adamo è forte, intelligente e razionale, nato per la meditazione e la prodezza, e prima della caduta è perfetto esattamente come ogni essere umano potrebbe essere. È però caratterizzato anche da imperfezione, dacché talvolta s'abbandona a imprudenze e ad atteggiamenti irrazionali. Come conseguenza della caduta, la sua ragione pura e il suo intelletto vengono da lui persi, e l'uomo non è più capace di conversare alla pari con gli angeli (come fece con l'Arcangelo Raffaele ), ma è come unilaterale (come si vede, con l'Arcangelo Michele , dopo la caduta). Il suo punto debole è l'amore  per Eva. Egli confida a Raffaele che la sua attrazione per lei è travolgente, qualcosa che la sua ragione non è in grado di vincere. Dopo che Eva si nutre dall'Albero della Conoscenza, egli decide di compiere lo stesso atto, avendo realizzato che se lei è votata a ciò, egli deve seguirla nel suo destino infausto, per non perderla - anche se ciò significa disobbedire a Dio.

Eva è la madre di tutta l'umanità, inferiore ad Adamo nelle facoltà intellettive (perché l'uomo è considerato più vicino a Dio rispetto alla donna) e dotata di tenerezza e dolce grazia affettiva . Ella lo supera nella bellezza, per la quale essa stessa s'innamora della propria immagine al rimirarla nel riflesso in uno specchio d'acqua (qui v'è un richiamo al mito greco di Narciso ). È proprio la sua vanità a essere sfruttata da Satana per persuaderla a nutrirsi dall'Albero della Conoscenza, per mezzo di lusinghe. Eva è chiaramente intelligente, ma a differenza di Adamo non è desiderosa di apprendere, essendo infatti assente nella conversazione di Adamo e dell'Angelo Raffaele nel libro VIII, e nelle visioni di Adamo presentate da Michele nei libri XI e XII. Eva non crede che sia suo compito andar in cerca della conoscenza in modo indipendente; preferisce invece che Adamo gliela trasmetta solo in un secondo momento. Il primo caso in cui evade dalla sua passività è quando s'avventura fuori da sola e finisce con l'ingerire il frutto proibito.

Dio.

Il Dio miltoniano è onnisciente, onnipresente e onnipotente: ciò sta a dire che egli ha prescienza degli eventi futuri, però non predestina - cosa che negherebbe interamente l'idea del libero arbitrio. La difficoltà nell'interpretazione del personaggio di Dio nel Paradiso Perduto  è che è più una personificazione di idee astratte che un essere reale; egli è incarnazione della pura ragione (infatti, vi è un'interpretazione che vede in Satana la passione che combatte la ragione, facendone un'anticipazione dell'eroe romantico). Egli permette che il male accada, ma crea il bene dal male. Il critico letterario William Empson (1906 -1984 ) ha chiarito molti dubbi dei lettori sul Dio di Milton nella sua influente opera, che porta lo stesso nome.

Il Figlio.

Il Figlio è la manifestazione di Dio nell'azione, il collegamento fisico tra Dio il Padre e la sua creazione, formando insieme a lui un Dio perfetto e completo. Personifica l'amore e la compassione e decide spontaneamente di morire per l'umanità, per redimerla, mettendo in luce la sua dedizione e il suo altruismo. Attraverso la sua forma umana, il Figlio verrà fatto discendere da Adamo, per mezzo del quale tutti gli uomini furono morti; ma egli sarà un secondo Adamo, per mezzo del quale tutti gli uomini saranno salvati. Nel Giorno del Giudizio , il Figlio apparirà nel cielo, avrà chiamato a raccolta da ogni angolo del mondo tutti, e condannerà i peccatori all'Inferno. L'ultima visione di Adamo, nel libro XII, è il sacrificio del Figlio come Gesù.

WOOD ENGRAVING - GRAVURE SUR BOIS - HOLZSTICH - XILOGRAFIA.

XILOGRAFIA  ORIGINALE  (TIRATURA  D'EPOCA)  ESTRATTA  (TOLTA)  DALL'OPERA: "IL  PARADISO  PERDUTO  DI  GIOVANNI  MILTON",  TRADOTTO  DA  LAZZARO  PAPI,  CON  ILLUSTRAZIONI  DI  GUSTAVO  DORE';  MILANO, STABILIMENTO  DELL'EDITORE  EDOARDO  SONZOGNO,  1881.

L'INCISIONE  E'  UNA  TAVOLA  A  PIENA  PAGINA, CON  MARGINI  BIANCHI  E  RETRO  BIANCO, HA  PIU'  DI  135  ANNI  ED  E'  IN  BUONO  STATO,  E' BELLISSIMA,  ABBASTANZA  NITIDA,  MOLTO PITTORESCA  E  SUGGESTIVA.  MISURE  PAGINA  cm  23,5 x 34,  MISURE  PARTE  INCISA  (LA  SOLA  IMMAGINE)  cm  20 x 25  CON  MARGINI  BIANCHI,  MISURE  CON  PASSEPARTOUT  cm  32 x 39,  RETRO  BIANCO.

 

L'INCISIONE VIENE FORNITA COMPLETA DI UN PASSEPARTOUT DI TIPO PROFESSIONALE A SMUSSO, DI COLORE AVORIO, CHE TRASFORMA L'IMMAGINE IN UN PEZZO UNICO DA COLLEZIONE.

 

 

ATTENZIONE!  QUESTA é UN'ASTA DEDICATA AGLI APPASSIONATI DI STORIA LOCALE, DI STORIA DEGLI USI E DEI COSTUMI DELLE GENTI ITALICHE, DI STORIA DELLE ARTI E DEI MESTIERI, AGLI AMATORI D'ARTE  E DEL BELLO IN TUTTE LE SUE MANIFESTAZIONI E AI COLLEZIONISTI DI PICCOLO ANTIQUARIATO CARTACEO: CHI NON HA DIMESTICHEZZA CON QUESTO GENERE DI COSE é PREGATO DI NON FARE OFFERTE O COMUNQUE DI CHIEDERE PREVENTIVAMENTE MAGGIORI INFORMAZIONI.

 

DI COSA SI TRATTA?  Per essere il più chiaro possibile (per i non esperti):  SI TRATTA DI UNA PAGINA ORIGINALE DI UN LIBRO ORIGINALE DEL 1887; QUESTA PAGINA ORIGINALE DEL 1887 E' STATA TOLTA DAL LIBRO ORIGINALE DEL 1887 ED E' STATA INSERITA DENTRO UN PASSEPARTOUT DI TIPO PROFESSIONALE A SMUSSO (CON IL TAGLIO INTERNO NON DIRITTO MA SMUSSATO, DI SBIECO), PASSEPARTOUT CHE E' STATO TAGLIATO SU MISURA APPOSTA PER L'IMMAGINE XILOGRAFICA CONTENUTA IN QUESTA PAGINA, IN MODO DA POTERLA VALORIZZARE IL PIU' POSSIBILE E PER CONSENTIRNE LA SUCCESSIVA INCORNICIATURA (CHE E' CONSIGLIABILE: L'OGGETTO E' PRONTO PER ESSERE INCORNICIATO).

 

Insieme a questa incisione riceverete GRATUITAMENTE un piccolo CERTIFICATO ARTISTICO DI GARANZIA,  con l'indicazione di tutte le notizie in mio possesso relative all'opera acquistata.

ATTENZIONE, SI TRATTA DI UN'IMMAGINE INGRANDITA, PER FARE VEDERE  IL PIU' POSSIBILE I DETTAGLI DELL'OGGETTO: LE DIMENSIONI REALI  SONO PIU' PICCOLE E SONO RIPORTATE NELLA DESCRIZIONE DELL'OGGETTO IN MODO PRECISO ED INEQUIVOCABILE: AL MEZZO CENTIMETRO!!!      

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