Michele e i suoi cherubini,angeli ribelli sconfitti.Milton:Paradiso Perduto.1881

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Venditore: enotrius ✉️ (7.941) 99.4%, Luogo in cui si trova l'oggetto: SALERNO, IT, Spedizione verso: IT, Numero oggetto: 401791091998 Michele e i suoi cherubini,angeli ribelli sconfitti.Milton:Paradiso Perduto.1881. 385 Non divisibil, con stupendo e pronto. Ma la sostanza eterea, a lungo mai. Si contorse e fremè: sì fero e crudo. Satán da pria sentì ’l dolore, e tutto. Giro al nemico d’un rovescio fende. L’aer esso incontra e ratto in due la parte;.

 

 

 

 

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DIDASCALIA: SUL  CONTESO  TERREN  CO'  PRODI  SUOI ACCAMPOSSI  MICHELE,  E  A  GUARDIA  INTORNO FOLGOREGGIANTI  CHERUBIN  DISPOSE: LIBRO  VI,  v.  480 - 482. AUTORE: Gustave  Doré. *  RIPORTO  INTEGRALMENTE  IL  LIBRO  VI  DELL'OPERA,  A  SCOPO  DIDATTICO-DIVULGATIVO. CHI  NON  E'  INTERESSATO  A  LEGGERE  IL  POEMA,  PUO'  SALTARE  I  VERSI  E  LEGGERE  LA  DESCRIZIONE  DELLA  XILOGRAFIA.

Rafaelo prosegue a narrare come Michele e Gabriello furono spediti contro Satáno e gli Angeli seguaci di lui. Satáno col suo esercito si ritira nella notte: raduna un Consiglio: è inventore di macchine infernali che nella battaglia successiva mettono in qualche disordine l’esercito di Michele; ma finalmente gli Angeli fedeli, sotto le montagne da essi svelte e lanciate, opprimono le macchine di Satáno. Sempre più cresce il tumulto; onde l’Eterno spedisce nel terzo giorno il Figlio, a cui l’onore della vittoria era riserbato. Questi si reca sul campo di battaglia rivestito della paterna possanza, e vietando alle sue regioni di fare verun movimento, col suo occhio e col suo fulmine in mano si avventa in mezzo a’ nemici che sono di repente rovesciati, e gl’insegue fino al muro del cielo che da per sé si spalanca. I ribelli sono precipitati nel fondo dell’abisso dalla divina giustizia a loro preparato. Il Messia trionfante ritorna la Padre.

  Tutta notte del ciel gl’immensi campi, Senza che alcun l’insegna, a vol trascorre L’intrepido Abdïello infin che l’alba, Desta dall’ore circolanti, schiude 5 Con rosea mano all’almo dì le porte. Nel divin monte e al divin soglio appresso, S’apre con doppio varco un vasto speco, D’onde con un perpetuo alterno giro La luce o l’ombra uscendo, or con notturna 10 Or con dïurna imagine più vago Rendono il cielo. Esce d’un lato il lume, E tosto obbdïente entra per l’altro L’oscurità fin che il momento arrivi Di stendere il suo velo; onde la notte 15 Si fa lassù che a tramontante giorno Sarìa quaggiù simíle: e già, qual suole, Nel più eccelso del ciel sorgea l’Aurora D’oro empireo vestita, e a lei davante Si dileguava da’ novelli raggi 20 Saettata la notte, allor che tutto D’ordinati squadron, d’armi, di carri E di celesti ignei corsier s’offerse Dell’Angelo agli sguardi il vasto piano Gremito, ricoverto, e fiamme e lampi 25 Lungi riverberante. Ei guerra vede, Guerra imminente, e noto già quant’egli Credea recar per nuova: all’oste amica Lieto si mesce che fra sè con lungo Ed alto plauso universal lo accoglie, 30 Come quell’un che non perduto riede D’infra tanti perduti. Al sacro monte Il guidan tosto e al sommo seggio innanzi, Ove dal sen d’un’aurea nube questa Voce soave risonò: - Ben festi, 35 Servo di Dio; della più dura prova Trionfatore uscisti, incontro a tanto Popol ribelle sostenendo invitto Tu sol del Vero la ragion, tu solo Più ch’esso in armi, ne’ tuoi detti forte 40 Tu d’un’immensa moltitudin rea L’onte e gli scherni a tollerar più duri Che la forza medesima non fora, Magnanimo affrontasti, e fu tua sola Cura agli occhi di Dio serbarti integro. 45 Più agevole vittoria or ti rimane; Da queste circondato amiche schiere Là, con più gloria che non fu lo scorno Nel partirne, ritorna, e chi per legge Aver non volle la ragione, i miei 50 Giusti decreti e per sovrano il Figlio Ch’ebbe per dritto de’ suoi merti il regno, Sia con la forza domo. O de’ miei prodi Prence, Michele, e tu ch’a lui sì presso Stai per valore, o Gabrïel, di questi 55 Miei figli le invincibili coorti Alla pugna guidate, incontro all’empie Turbe un numero egual de’ miei s’affronti Angeli innumerevoli: col ferro E con le fiamme intrepidi assalite 60 L’iniqua ciurma, e fin del ciel sull’orlo Non cessate inseguirla: in bando eterno Lungi da me nel Tartaro sia spinta, Che a divorarla già l’avide gole Spalanca e gli affocati immensi abissi. 65 Così parlò quell’alta voce, e il monte Cominciò tutto d’improvvise nubi Ad oscurarsi e tra fumose ruote D’ora in ora a mandar vampe e baleni, Di svegliato furor tremendo segno. 70 Nè spaventosi men dall’alta cima I feri accenti dell’eterea tromba Rintonaron repente. In quadra, densa, Irresistibil, taciturna massa Tosto s’avanzan le falangi al suono 75 Di bellica armonìa che loro in petto Sparge un eroico ardor, sotto i raggianti Lor duci che di numi hanno sembianza, Di numi armati a sostener del nume La causa e del Messìa. Non monte opposto, 80 Non stretta valle o bosco o fiume arresta Il corso lor, nulla scompone il saldo Indissolubil ordine; che i vasti Fendeano empirei campi alto dal suolo, E le lor sosteneva orme leggiere 85 L’aere soggetto. In ordinate file Dinanzi a te le aligere caterve Qui s’affrettâr così, quando lor desti I varj nomi. Spazïosi regni, Smisurate provincie, onde sol fora 90 Quest’umil terra un breve tratto, indietro Il campo si lasciò. Verso Aquilone Sull’orizzonte più remoto alfine Vasta pianura ecco apparir che sembra In aspetto guerrier da un margo all’altro 95 Una continua fiamma, e più d’appresso Presenta al guardo un folto orrido bosco Di dardi e d’aste; innumerabili elmi, E scudi innumerabili, dipinti Di pompose divise. Era Satáno 100 E gli empj suoi che furïosi all’armi Eran già corsi, ed occupar di Dio Credean per forza o per sorpresa il monte Quel giorno stesso, e sul supremo soglio Quell’invido locar fellon superbo. 105 Vani, stolti disegni, a mezzo il corso Frastornati, dispersi! A quell’aspetto Dubbio pensier da pria ci scosse. - Ah! dunque Il cielo incontro al cielo, Angeli incontro Angeli affronteransi? Essi che, figli 110 D’un sol gran padre, tante volte e tante Furon compagni alle medesme feste D’amor, di gioia, ed intuonaro insieme Inni all’Eterno? - Entro il suo cor ciascuno Di noi così dicea, quando di guerra 115 Il ruinoso suon troncò repente Ogni dolce pensiero. Alto nel mezzo, Su cocchio rifulgente a par del sole, Il disertor del ciel, bugiarda imago Di contraffata maestà divina, 120 Satán da lungi apparve intorno cinto Di fiammeggianti Cherubin che schermo D’aurei scudi gli fean: dal soglio eccelso Ei balza quindi al suol: chè breve omai E tremendo intervallo una dall’altra 125 De’ campi dividea l’orride fronti (Sterminata ordinanza!), e a lunghi passi, Superbamente torreggiando, innanzi Alle prime sue schiere ecco s’inoltra, Tutto coperto d’adamante e d’oro, 130 Sull’orlo della pugna. A quell’aspetto Freme Abdïello di magnanim’ira, Abdïel che infiammato a illustri imprese Tra i più prodi guerrier là stava, e seco Così ragiona: - Oh cielo! e tanta ancora 135 Riman divina imago ove più fede E lealtà non è? Perchè la possa Colla virtù non manca, e ’l più superbo Non diviene il più fiacco? In vista ei sembra Invincibile, è ver; pur io, fidando 140 Nel tuo soccorso, onnipossente Dio, Affronterollo, e d’atterrarlo ho speme Al par di sue ragion fallaci e vane. Sì, giusto è ben che vincitor nell’armi Anco sia quei che insuperabil stette 145 Campion del Vero; e se vil guerra infame Move la forza alla ragion, ben dritto È che forza maggior la forza abbatta. Sì parlando fra sè, fuor dell’armato Suo stuol si slancia e ’l fier nemico, acceso 150 Di maggior rabbia a tal baldanza, affronta E ’l rampogna così: - Scontrato alfine Tu sei, fellon superbo? Era tua speme Giugner senza contrasto all’alta meta De’ tuoi disegni rei? trovar pensasti 155 Pel terror di tua possa o per la forza Di tua lingua deserto il divin soglio, Il soglio di quel Dio ch’osti infinite Trae con un cenno dalla polve fuora, Di lui che stende il solitario braccio 160 Di là d’ogni confino, e con un lieve Suo tocco, ei sol, te annichilar con quante Schiere hai d’intorno, e giù nel buio eterno Sommergere ti può? Ciascuno, il vedi, Non seguì tuoi drappelli; ha Dio tuttora 165 Per sè qualche fedel: cieco a te cieco Io parvi allor che a te, che a tanti iniqui Oppormi osai: solo or non sono, e chiaro Scorgi, ma tardi, che talor sol uno Segue il dritto sentier, mentr’erran mille. 170 - Mal per te (disdegnoso a lui risponde E torvo il gran nemico) il primo giungi, Primo ti cerca la vendetta mia, E primo avrai la tua mercè. Cotanta Audacia tua che nel Senato augusto, 175 Ove raccolta stavasi la terza Parte de’ numi, ad innalzar ti spinse Sedizïose voci, il braccio mio Primiera sentirà. Niuno è fra questi Che, mentre in cor l’eterea fiamma e ’l divo 180 Valor si sente, riconoscer voglia Onnipotente alcuno. Alto desìo Di gloria inver, ma periglioso troppo, Ti spinge innanzi agli altri, e grato assai Fiami il mostrar in te qual sia la sorte 185 Che lor sovrasta. Un qualche istante io solo Sospenderolla, onde non sia tuo vanto Il mio tacere. Odimi dunque: a Spirti Celesti io mi pensai che fosse il cielo E libertade una medesma cosa; 190 Ma veggo or ben che di torpore ingombro Il numero maggior, tra feste e canti Sol uso, ama il servir. Tai son le vili Tue torme di cantori, imbelli schiavi, Ch’osan servaggio a libertade opporre, 195 E tai quest’oggi il paragon dell’armi Li mostrerà. - D’uno in un altro errore (Torvo Abdïel soggiunge) ognor t’avvolgi, Ribelle spirto, e poichè ’l dritto calle Abbandonasti, anco avvolgendo sempre 200 T’andrai vie più. Dov’è il servaggio allora Che quanto vuol natura e Dio s’adempie, E sì sublime è di chi regna il merto? Qual paragon fra noi, fra Dio? Chi saggio, Chi buon, chi degno, chi possente al paro 205 Esser puote di lui? Ben quegli è schiavo Che uno stolto signore a te simile Scêrsi potè, che di servir sofferse Un ribelle, un fellon: così codeste Torme servono a te, così lo schiavo 210 Di te stesso tu sei, tu ch’osi audace Il glorïoso ministero nostro Rinfacciarci empiamente: a te dovuto Regno è l’inferno, e là tra ferri aspetta Il guiderdon di tua perfidia: in cielo 215 Eternamente io servirò l’Eterno, Fedele e pronto osservator de’ suoi Giustissimi comandi. Abbiti intanto Quell’omaggio che merti. - Ei dice, e sopra Il superbo cimier ratto gli avventa 220 Con gran tempesta un colpo. Occhio o pensiero Prevenir non potea, non che lo scudo Tanta ruina. Barcollando indietro Ben dieci lunghi passi andò Satáno, Piegò i ginocchi alfin, ma si sostenne 225 Sulla sua lancia smisurata. Un monte Così talor la ringorgata possa D’acque o gl’irati sotterranei venti Dal suo sito trabalzano e con tutti I pini suoi l’affondan mezzo. Un alto 230 Stupor assalse le ribelli squadre E rabbia anco maggior, veggendo a un tratto Il lor più prode a terra: un lieto grido Con fausto augurio alzano i nostri, e un fero Di battaglia desìo gl’infiamma. Allora 235 Michele impon che della mischia il segno Dia la gran tuba. Ne rimbomba tutta Del ciel l’ampiezza, ed il celeste Osanna Le fide schiere intuonano. Non stette L’oste nemica a bada, e al fero scontro 240 Non men fera scagliossi. Or procellosa Furia s’innalza e non più udito in cielo Fragore immenso, universal: le urtate Armi rendon discorde orribil suono, E metton fiamme e folgori le ruote 245 Degli enei carri; d’infocati dardi Fischia per l’aere un così denso nembo Che quasi sotto ad ignea vôlta copre L’un’oste e l’altra; di terribil mugghio Lungi rintrona il cielo, e se allor v’era 250 La terra, tutta si sarìa la terra Scossa dall’imo centro. In te stupore Non desteran miei detti, o Adam, se pensi Che d’ambo i lati milïoni insieme D’Angeli s’affrontaro, onde sol uno 255 E ’l minimo di lor, brandito avrebbe Questi elementi ed agguagliato tutta La forza di lor masse. Or qual dovea Dei due campi infiniti esser la possa E l’urto immensurabile, bastante 260 Tutto a crollar dalle sue sedi il cielo, Se quei che tutto può, certi confini Alle lor forze non ponea? Là sembra Un numeroso esercito ogni schiera, E ad una schiera rassomiglia in forza 265 Ciascuna destra. A valoroso duce È pari ogni guerrier, ciascun sa quando Avanzarsi o star dee, quando lo sforzo Della pugna girar, quando le file, Fieri solchi di guerra, a chiuder s’hanno, 270 Quando ad aprir: niun di ritratta o fuga Pensier, niun atto ignobile: ciascuno Fida in se stesso, e nel suo braccio solo Par che riposta la vittoria estimi. Degne d’eterna fama illustri imprese 275 Ed infinite han loco; ampia si sparge La zuffa e varia; or sullo stabil suolo Fermano il piede, or sul vigor dell’ali Ergonsi l’aria a tempestar che sembra Tutta di foco un procelloso campo. 280 Dubbia per lungo tempo in lance eguale La battaglia pendè, quando Satáno Che valor portentoso avea dimostro Tutto quel giorno e niuno a sè nell’armi Trovato egual, colà s’avviene alfine 285 Ove dei Serafin più densa e fera Arde la mischia, e di Michel la spada Scorge che intere squadre a un colpo miete. Alto brandito ad ambe man con lena Immensa discendea l’orribil ferro 290 Sterminator. Ratto colà Satáno S’affretta ad impedir tanta ruina, E ’l suo scudo di decuplo adamante V’oppon, rotonda, vasta, alpestre mole. Al suo venir l’Arcangelo possente 295 Rattiene il braccio distruttore: ei spera Che, sottomesso e strascinato in ceppi Il duce de’ ribelli, avrà pur fine Quell’intestina guerra, e torvo il ciglio, Acceso il volto, a dirgli prende: - Iniquo 300 Autor del male, del mal che nome ignoto Fu sempre in cielo e v’infierisce or tanto Con quest’acerba abbominevol lutta, Di cui pur debbe alfine a te sul capo Ed a’ seguaci tuoi cadere il danno, 305 Ah! com’hai tu di quest’eterna pace Il bel seren turbato ed a natura Gittati in sen col tuo delitto i primi Germi d’ogni miseria! ahi come in tanti Già puri e fidi, or traditori e felli 310 Stillasti il tuo velen? Ma non pensarti Di turbar qui l’almo riposo: il cielo, Che di letizia è sede, opre non soffre Di vïolenza e guerra, e in bando eterno Da sè ti scaccia: vanne, e teco mena 315 Il male, empia tua prole; entro i suoi golfi Te colla ciurma tua l’inferno attende. Il tuo furor laggiuso e le tue trame Traggi con te, laggiù t’affretta innanzi Che questa spada ad eseguire imprenda 320 La tua condanna, o pria che l’ali impenni L’ira divina e colaggiù t’avventi Con pena assai maggior. - Tu pensi (bieco Gli risponde Satán) col vano fiato Di tue minacce atterrir lui che ancora 325 Non potesti coll’opre? Il men gagliardo Hai tu de’ miei per anco in fuga spinto, O abbattuto così che tosto invitto Non risorgesse? E or me più agevol stimi Piegar co’ detti imperïosi e quinci 330 Scacciarmi colla voce? Ah folle! questa Che tu di fellonia chiamare ardisci, E noi chiamiam di gloria alta contesa, Così non finirà. Coll’armi in pugno O qui trionferemo, o queste sedi 335 Noi cangeremo in quel medesmo inferno, Di che tu cianci, liberi pur sempre Se regnar non possiam. Tue forze estreme Or tu raduna, e quelle insiem di lui Che chiami onnipossente, anco v’aggiungi; 340 Non fuggo io, no, chè da lung’ora in cerca Di te mi raggirai. - Dissero, e pronti Eccoli al gran cimento. Or qual potrebbe Lingua, benchè celeste, i fatti eccelsi De’ due campioni raccontare? e quale 345 Poss’io quaggiù fra le terrene cose Paragon ritrovar che a tanta altezza Di divino valor sollevi ed erga L’umano imaginar? chè ben di numi Hanno sembianza alla statura, all’armi, 350 Se movono, se stanno, atti del cielo A decider l’impero. Or l’ignee spade Ruotano e in fulminosi orrendi cerchi Squarciano l’aere: due gran soli opposti Sembran gli ardenti scudi. Orror, stupore 355 Le schiere ingombra, che repente indietro Si fan, lasciando ai due guerrier sovrani, La ’ve più folta era la mischia, un largo Campo nel mezzo. Anco è periglio l’aura, Che fischia e rugge ai colpi lor. Men grande 360 Fora l’urto e ’l fragor, se, di natura L’ordin sconvolto e fra i celesti globi Insorta guerra, furïosi incontro L’uno dell’altro si scagliasser due Astri nemici in mezzo al cielo e insieme 365 Confondesser le sfere. Ecco ad un punto Ciascun di loro il poderoso braccio Che sol dal divin braccio è vinto in forza, Alza e tal colpo libra, onde per sempre La gran contesa alfin decisa resti, 370 Era egual la destrezza, egual la possa; Ma il brando che a Michel lo stesso Dio Diè di sua mano, e dalla rocca avea Dell’armi sue già tolto, è di tal tempra Che al suo terribil filo acuta o salda 375 cosa non regge. Di Satán la spada Che d’alto scende ruïnosa, a mezzo L’aer esso incontra e ratto in due la parte; Nè s’arresta Michel, ma con veloce Giro al nemico d’un rovescio fende 380 Profondamente il destro lato. Allora Satán da pria sentì ’l dolore, e tutto Si contorse e fremè: sì fero e crudo Gli aprì le membra quel superno acciaro! Ma la sostanza eterea, a lungo mai 385 Non divisibil, con stupendo e pronto Ricorrimento ammarginossi. Un rio Di nettareo sgorgò sangue celeste Dalla gran piaga fuor, qual dai superni Spirti uscir puote, e il già sì terso arnese 390 Tutto gli tinse. D’ogni lato a un tratto In suo soccorso e in sua difesa molti Volâr de’ suoi più forti, e su gli scudi Altri al suo carro il riportaro intanto Fuor della pugna. Ivi il posâr ringhiante 395 D’atroce rabbia, di dolor e d’onta, Chè scorge aver chi lo pareggia, e doma Sente cotanto quell’audace speme D’agguagliarsi all’Eterno. Ei riede tosto Sano però qual pria: chè all’uom simìli 400 Non son gli spirti già, ma vigor pari Hanno di vita in ogni parte, e solo Distrutti appien, ponno morir. Somiglia La lor testura al fluido aere leggiero Che scisso appena, è riunito: in essi 405 Tutto spira, ode, vede e sente e pensa, E a grado loro or dense forme or rare Prendon, vario color, vario sembiante, Varia statura. Non men degne intanto D’eterna fama luminose imprese 410 Han loco in altro lato ove il possente Gabrïele combatte, e ’l denso stuolo Del feroce Molocco urta e rovescia Innanzi a’ suoi stendardi. In suon d’orgoglio Vantava questi strascinar avvinto 415 Del suo carro alle ruote il pio guerriero, E contro il Santo Unico in ciel dal negro Labbro scagliava empie bestemmie, allora Che d’un subito colpo infino al cinto Rimase fesso, e con squarciato usbergo 420 E fieri urli fuggì. Sull’una e l’altra Ala Urïele e Rafaello in fuga Spinsero i lor nemici Adramelecco Ed Asmodéo, benchè membruti ed alti E armati d’uno scoglio d’adamante, 425 Due Troni potentissimi e superbi Ch’esser da men che numi aveano a sdegno; Ma da ferite orribili squarciati Per entro a piastra e maglia appreser tosto Meno audaci pensier. Nè lento è altrove 430 A travagliar le ribellanti torme Il valente Abdïel, chè stende al suolo Con raddoppiati spaventosi colpi Arïele, Arïocco, e quell’orrendo Turbine Ramïel, da fero foco 435 Inceso ed arso. Or qui di mille e mille Narrar le gesta ed eternare i nomi Sulla terra potrei; ma quegli eletti Spirti, contenti di lor fama in cielo, D’umane lodi non si prendon cura; 440 E de’ nemici lor, sebbene in possa Meravigliosi ed in guerriere prove, E di fama bramosi, il ciel per sempre Ogni memoria cancellò da’ suoi Sacri volumi; onde nel nero obblìo 445 Si lascin senza nome. Allor che forza È da giustizia e verità divisa, Sol merta onta e disprezzo, ancor che aspiri A gloria e cerchi coll’infamia fama: Copra quegli empj alto silenzio eterno! 450 Dell’oste avversa i più famosi e forti Già vinti e domi, ad ondeggiar comincia L’intero campo loro, in molte parti Percosso e rotto. Entra pertutto cieca Confusïon, scompiglio; è sparto il suolo 455 Di fracassati arnesi; ignei spumanti Corsieri e carri e condottieri insieme Giaccion sossopra in spaventevol monte Chi abbattuto non è, stanco s’arretra, Spossato, trafelante; omai da freddo 460 Spavento presa e da languore oppressa La maggior parte de’ nemici, inetta È alla difesa; in vergognosa fuga Tutti già vanno. Del lor fallo in pena, La tema ed il dolore, a cui suggetti 465 Non eran per l’innanzi, essi la prima Volta or provaro. Tal non fu la sorte Delle sciolte da colpa elette schiere: In cubica falange intera e salda Elleno s’avanzâr: delle lor armi 470 Egregia, impenetrabile è la tempra Instancabile il braccio, e benchè smosse Per la forza talor d’urto possente Sien dal lor posto, pur sicure e immuni Son da ferite e duol: grazia sovrana 475 Che alla lor fedeltade Iddio concede. Alfin la notte ripigliando il corso Pel fosco ciel, tregua e silenzio impone Al fero suon dell’armi, ed ambo accoglie Sotto al suo manto il vincitore e ’l vinto. 480 Sul conteso terren co’ prodi suoi Accampossi Michele, e a guardia intorno Folgoreggianti Cherubin dispose: Ma d’altra parte sotto l’ombre intanto Sparve Satán co’ suoi ribelli, e lunge 485 Ad attendarsi andò. Di rabbia pieno, Di riposo incapace, ei là raguna A notturno consiglio i suoi più grandi, E impavido fra lor così favella: - Or sì conosco il valor vostro a prova, 490 Compagni amati, e la passata pugna Non solo insuperabili, non solo Degni di libertà, troppo per noi Umile oggetto, ma d’onor, d’impero, Di gloria e fama degni appien mostrovvi. 495 Voi quanto il re del cielo aveva intorno Al trono suo di più possente, in questo Dì sostenuto avete, e se il poteste Intero un dì, voi nol potrete ancora Eterni giorni? Egli credea bastanti 500 Quelle sue forze a soggiogarci; eppure Nol furon esse. Ad ingannarsi è dunque Colui soggetto che infallibil sempre Noi stimammo finor. D’armi men salde Coperti, è ver, provato abbiam pugnando 505 Qualche svantaggio, e il non sentito in pria Dolor sofferto, ma sprezzarlo ancora Tosto sapemmo. Or sì veggiam per prova Che a mortal danno soggiacer non puote La nostra empirea forma, e le divise 510 Membra innata virtù tosto risalda. D’un così lieve male anco fia lieve Il riparo trovare: armi più ferme, Dardi più violenti, in novo scontro O ci daran vittoria, o in lance eguale, 515 (Giacchè eguali in valor ci fe’ natura) Terran sospeso della guerra il fato. S’altra ascosa cagion rese migliore L’ostil fortuna, mentre ancor serbiamo Tutto il vigor di nostre menti illeso, 520 Or qui s’indaghi, ed il comun consiglio Là ci discopra. - Ei siede, e in piè Nisroco Tosto si leva, fra que’ Prenci il primo. Egli, dal crudo agon scampato appena, Smagliata, infranta ha l’armatura, e tutto 525 Rabbuffato, affannato e fosco in vista Così risponde: - O de’ diritti nostri Sostenitor magnanimo, o possente Nostro liberator, sì, troppo è dura Anco per numi e diseguale impresa 530 Pugnar con armi diseguali, e contro Chi non ligio al dolor scaglia il dolore Insiem coi colpi, ed ogni danno quindi, Ogni nostra ruina uopo è che nasca. Che mai giova il valor, che mai la possa, 535 Ancorchè senza pari, incontro ai crudi Assalti di quell’aspro orribil senso Ch’ogni più forte braccio abbatte e snerva? Star privi del piacer ben si può forse E la vita passar contenta e queta 540 In calma placidissima profonda; Ma de’ mali il peggior, miseria estrema È il cruccio del dolor, che, giunto al colmo, Rovescia ogni costanza. Or se avvi alcuno Che inventar sappia con qual forza ed arte 545 Agl’inimici nostri intatti ancora Possiam recare offesa o armarci almeno Di schermo egual, nostra salvezza e quanto Gli si convien per sì gran merto a dritto, Noi gli dovrem. - Con grave ciglio a lui 550 Satáno allor: - Quel che all’impresa estimi Tu di tanto momento, io qui l’arreco Già divisato. Al rilucente aspetto Di questo spazïoso etereo suolo Tutto così di vaghe piante adorno, 555 D’ambrosj fiori e frutti e gemme ed oro, Chi di noi volge un guardo e insiem non scorge Che di quanto quassuso appar di fuore Ei serbar dee gli occulti semi in grembo? Sì, nell’ime sue viscere covando 560 Di spiritosa ignea natura stanno Scure e crude materie in fin che tocche Da’ rai celesti e sviluppate e scosse Rompan l’alta prigione e varie e vaghe S’aprano al chiaro dì. Queste dall’alte 565 Latebre lor d’infernal fiamma pregne, Trarransi fuora; in fondo a vôti ordigni, Lunghi, rotondi in pria compresse, e quindi Con igneo tocco ad un spiraglio angusto Repente accese, con tonante scoppio 570 Avventeran contro lo stuol nemico Tai di ruina orribili strumenti Che quanto opponsi, fracassato, sparso, Sterminato saranne, e sbigottita Crederà l’oste quel fulmineo telo 575 Al Tonante di man strappato alfine. Breve fia l’opra, e innanzi al dì l’evento Compierà nostre brame. Ogni timore Sgombrate intanto e dell’usato ardire Armate il cor. Quando consiglio e forza 580 Congiunti son, non che mancar di speme, Piana stimar dovete ogn’ardua impresa. Con questi detti i lor languenti spirti E la cadente speme egli ravviva. La gran scoperta ognuno ammira, ognuno 585 Rapita a sè la crede: agevol tanto Suol apparir quel che, mentr’era ignoto, E scuro ed arduo ed impossibil parve! Forse avverrà nelle future etadi, O Adam, se fia che il mal prevalga e inondi 590 Questa or sì bella e fortunata terra, Forse avverrà che alcun de’ figli tuoi, Agli altrui danni inteso, o dall’inferno Inspirato ed instrutto, anco una volta Que’ feri ordegni e la satanic’arte 595 Dalle tenebre tragga, un don fatale Al guasto per le colpe uman lignaggio, Oimè! ne faccia, e delle mutue stragi Moltiplichi le vie! Repente all’opra Volò ciascun, nè in argomenti e dubbi 600 Quel consesso trattenne; a un tratto pronte Fur mani innumerabili, ad un tratto Un ampio giro del celeste suolo Volser sossopra, e in lor recessi oscuri Gli alti primordj e le segrete fonti 605 Miraron di natura: ivi del foco Gli alimenti trovaro, informi masse Di nitro e zolfo che mischiate in pria, Poi con arte sottil disposte e secche In negri sceverâr minuti grani 610 E ne feron conserva. Altri le vene Delle pietre cercaro e de’ metalli (Nè dissimili viscere ha la terra), E ne formaro i cavi ordigni e i globi Fulminei rovinosi: altri i ministri 615 Di ratta fiamma calami provvide, E così pria del rinascente albòre, Sotto la sola consapevol notte, Cheti, guardinghi, inosservati il tutto Apprestaro e compiero. Or quando in cielo 620 Il bel mattin sorgea, sursero anch’essi Gli Angeli vincitori: il suon di guerra Sparse la tromba, e di lor armi d’oro Da capo a piè coverte, in un istante Tutte ordinârsi le raggianti schiere; 625 E tosto alcuni lievemente armati Dagli albeggianti colli andaro intorno Ogni piaggia spiando, ove il nemico Siasi accampato, se alla pugna riede, Che fa, se move o stassi. Ecco ad un tratto 630 Indi non lungi le ondeggianti insegne Ne scorgon essi; ei s’avanzava in lenta, Ma forte e salda massa. Indietro allora Sovr’ali rapidissime di foco Rivola, Zofïel, fra tutti i messi 635 Quei ch’ha più ratta e infaticabil penna, E in mezzo l’aere alto sì grida: - All’armi, Guerrieri, all’armi; ecco il nemico, in fuga Mal lo credemmo, ed inseguirlo in questo Dì non dovrem: non paventate amici, 640 Ch’oggi ci sfugga; ei vien qual densa nube, E un risoluto disperato ardire Ha in volto: ognun l’adamantino usbergo S’adatti bene, ognun l’elmo si calchi In testa, e forte il tondo scudo imbracci; 645 E questo il dì, s’io ben raccolgo i segni, Che lieve pioggia no, ma ruïnosa Cadrà tempesta di fiammanti strali. Ei così parla alle già pronte squadre, Ch’alla battaglia d’ogn’impaccio sciolte 650 Mosser repente, nè di là lontano Il nemico scoprîr che denso e vasto S’inoltrava con gravi alteri passi In cubica falange, e ad essa in mezzo Dai profondi squadron coperte e ascose 655 Le infernali sue macchine traea. Fermârsi alquanto uno dell’altro a fronte I due campi nemici allor che fuori Delle sue schiere si lanciò Satáno, Ed alto gridò loro: - A destra e a manca 660 S’apran le file, e veggan tutti omai Quei che ci odian così, che accordo e pace Da noi sol vuolsi, e con aperte braccia Pronti siamo ad accôrli, ov’essi il tergo A noi non volgan disdegnosi e crudi: 665 Di ciò sto in forse: testimone il cielo Ne sia però che quanto a noi s’aspetta Tutto compiemmo: or voi ch’io già de’ miei Disegni instrussi, le proposte nostre Fate udir loro in brevi accenti e forti. 670 Queste ambigue parole ei disse appena, Ch’a destra e a manca aprendosi veloce Di sue schiere la fronte ripiegossi Sull’uno e l’altro fianco, e agli occhi nostri, Spettacol novo e strano! a un tratto offerse 675 Di cavi bronzi triplicata fila, Che su ruote girevoli distesi E di quercia o d’abete a grossi tronchi Abbattuti e rimondi in monte o in selva, O a gran pilastri simili, vêr noi 680 Sporgean le minaccianti orride bocche. Dietro ognun d’essi un Serafin si stava Che un calamo scotea d’accesa punta, E mentre noi ne’ pensier nostri assorti Stiamo e sospesi, ecco di lor ciascuno 685 A un picciol foro la sua canna appressa Con lieve tocco. D’improvvisa vampa Tutto arse il ciel, di vortici fumosi Tutto ingombrossi; un fiero tuon muggìo Dalle profonde vomitanti gole 690 Di quegli ordigni, che dell’aere tutte Le viscere squarciò: di ferrei globi, D’incatenate folgori ad un punto Contro noi rapidissima s’avventa Grandinosa tempesta: in piè restarsi 695 Niun potè a tanta furia, ancor che saldo Stesse qual rupe; ma rinfusi a mille E a mille i guerrier nostri uno sull’altro Precipitaro in un momento, e l’armi A quel disastro ebber gran parte. Ah! senza 700 Il grave ingombro loro, in spazio breve, Come a natura spiritale è dato, Ristringendosi a un tratto, o con obbliquo Veloce slancio avríen schivar potuto Tanta ruina. Or tra le fide schiere 705 Tutto è scompiglio, e attonito ciascuno Più che farsi non sa; chè s’elle incontro A’ nemici si scagliano, già in atto Sta d’avventar l’irresistibil nembo De’ fulmini secondi un’altra fila 710 Di Serafini. Inutile il coraggio, Inutile il valor veggono i nostri, Ma pur la fuga hanno in orror. Satáno Trïonfator già credesi, già pari Al Tonante, all’Eterno, e in detti amari 715 Li rampogna e deride. In ira accesi Eglino di colà si tolgon ratti, Gittano l’armi ed a’ vicini monti (Chè il cielo ancora offre di monti e valli Il vario ameno aspetto, e a quell’imago 720 L’ebbe poi questo suol) corron veloci, Volan quai lampi. Or qui l’estrema possa Che negli Angeli suoi pose l’Eterno, Ammira, o Adam! quelle montagne stesse Afferran, scrollan, svellono dall’ime 725 Radici coi lor rivi e scogli e boschi; Per l’irte cime abbrancanle ed in alto Le brandiscon travolte. Assalse tutta L’oste nemica uno stupore, un gelo, Quando venirsi spaventoso incontro 730 Vide de’ monti il rovesciato fondo, E sotto il peso lor sepolti, oppresse Restar gli ordigni suoi, le sue speranze; Indi se stessa dalle masse enormi Anco investita che piombavan d’alto 735 Per l’aria intenebrata, e mille a un tempo Ricoprian di lor mole armate squadre. Crebbero il danno le armature infrante, Schiacciate e infitte in lor sostanza, ond’aspro Duolo insoffribil nacque, un gemer cupo 740 Sotto quel carcer ponderoso, un lungo Divincolarsi, uno strisciar di quegli Spirti che prima alla più pura luce Eran simíli, e di più grosse forme Or il fallo vestì. L’esempio nostro 745 Seguono gli altri, e de’ vicini colli Squarciati e svelti s’armano; con fero Urto e riurto a mezzo l’aere i monti Cozzan coi monti, ed in terribil ombra, Quasi sotterra, arde la pugna. È tanto 750 Il furore e ’l fragor, ch’ogn’altra guerra Parebbe un gioco al paragon. Si mesce Sullo scompiglio orribile scompiglio, E tutto sparso di ruine il cielo In ultimo conquasso ito sarebbe; 755 Ma il Padre onnipossente dal celeste Penetrale, dov’ei securo siede E la gran somma delle cose libra, Previsto ben tanto tumulto avea Ed il tutto permesso onde far pieno 760 L’alto proposto di mostrare al cielo Dell’unto Figlio suo la gloria, e tutta Palesar la sua possa in lui traslata E vendicarlo appien. Quindi rivolto Vêr lui che a lato gli sedea, sì disse: 765 - O fulgor di mia gloria, amato Figlio, Nel cui sembiante l’invisibil mia Divinità visibile si rende, Esecutor de’ miei decreti eterni, Onnipotenza egual, passati omai 770 Due giorni son, quai li contiamo in cielo, Che condusse Michel le mie falangi A domar que’ perversi. Atroce e dura Fu la battaglia, qual dovea, fra tali Nemici in lor balìa da me lasciati 775 E che uguali io creai. Degli uni il fallo Tra loro, è ver, un disagguaglio ha posto, Ma lento si parrìa, mentr’io sospendo La gran condanna che sugli empj dee Cadere un giorno, e troppo lunga fora 780 Così quest’aspra lutta. Omai tutt’ebbe Il suo corso la guerra, e d’armi invece, A’ monti stessi ancor dato ha di piglio Lo sfrenato furor che il ciel minaccia Disfare omai. Due dì passaro, il terzo 785 È tuo, per te l’ho fisso, e fin qui tutto Soffrii perchè sol tua la gloria fosse Di trarre a fin guerra sì grande, e solo Il potrai tu. Tanta virtude e tanta Grazia io trasfusi in te che cielo e inferno 790 Conosceranno il tuo poter maggiore, Siccome il mio; d’ogni confronto, e spenta Questa rabida fiamma, unico e degno Tu d’ogni cosa apparirai, qual merti, Per la sacra unzïone, erede e rege. 795 Vanne perciò, nella paterna possa Onnipotente, sul mio carro ascendi, Guida le rote rapide crollanti L’empirea mole, l’apparecchio tutto Traggi di guerra fuor, trai l’arco e i tuoni, 800 Rivesti l’armi onnipossenti, il brando Al fortissimo fianco appendi, incalza Que’ figli delle tenebre, da tutti I confini del ciel nel più profondo Baratro li sommergi, e a voglia loro 805 Laggiù il mio Nume e l’unto Re Messia Imparino a sprezzar. - Disse, e sul Figlio Tutta versò de’ raggi suoi la piena, E questi in volto tutto il Padre espresso Mostrò ineffabilmente e a lui rispose: 810 - Padre e Signore de’ celesti troni, Primiero, Ottimo, Massimo, Santissimo, Sempre esaltar mia gloria è per te dolce, Per me la tua, qual debbo. È mio diletto E vanto e gloria mia che tu dichiari, 815 Pago di me, tua volontade empiuta, Di che beato io son. Scettro e possanza, Tuoi doni, io lieto assumo, e ancor più lieto Li deporrò, quando alla fine in tutti Tu sarai tutto, io sarò in te per sempre, 820 E in me stesso del par tutti saranno I diletti da te. Ma quei che abborri, Abborro io pur non meno, e vestir posso, Come la tua clemenza, il tuo terrore, In tutto imagin tua. Cinto del sommo 825 Tuo potere io bentosto avrò dal cielo Quegl’iniqui sbanditi e al fondo spinti Del preparato a lor tetro soggiorno, Alle catene tenebrose, al sempre Immortal verme del pensier che osaro 830 Al giusto impero tuo, viva sorgente D’ogni felicità, farsi ribelli. Allora i Santi tuoi, lunge divisi Da quegl’impuri, risonar faranno Di sublimi alleluia il sacro monte, 835 Ed io primo fra lor. - Disse, inchinossi Sopra il suo scettro, e dalla destra surse, Dalla destra di gloria ov’ei sedea. A rosseggiar la terza aurora in cielo Già cominciava, ed ecco, in suon d’orrendo 840 Turbo, fuor balza rovinoso il carro Della paterna Deità tra un folto Scagliar di fiamme. Si raggiran mosse Da interno spirto animator le ruote L’une entro l’altre, ma ne reggon quattro 845 Forme di Cherubini il corso, e quattro Ha ciaschedun meravigliose facce. D’occhi, quasi di stelle, erano sparsi Lor corpi ed ali; non men d’occhi piene Le rote di berillo, e nel lor corso 850 Via via foco avventavano. S’incurva Sopra il lor capo cristallina vôlta, E di zaffiro un rilucente solio Sorge sovr’essa, ove al più puro elettro I varj suoi color l’iride mesce. 855 Coverto di tutt’armi il Figlio appare, Ed il mistico arnese, opra celeste In cui lampeggia manifesto il Vero Per infusa virtù, si cinge al petto E ’l carro ascende. La Vittoria a destra 860 Gli sta con aquilini agili vanni; Pendongli l’arco e la faretra piena Delle trisulche folgori sul fianco, E di fumo, di vampe e di faville Gli ruota e stride intorno orribil nembo. 865 In mezzo a innumerabili migliaia Di Santi ei s’avanzò. Splendea da lungi Il suo venir. Ben ventimila carri (Già il numero io ne intesi) a destra e a manca Schierati l’accompagnano; sublime 870 Su trono di zaffiro e sulle penne De’ Cherubini assiso, ei vien fendendo Con immenso fulgóre i cristallini Celesti campi. Scerserlo da prima I suoi, che pieni d’esultanza e gioia 875 A un tratto fur, quando il gran segno in cielo, Il suo drappel dagli Angeli portato, Per l’aere balenò. Pronto Michele Tutte riduce allor le sparse squadre Sott’esso in un sol corpo. A sè davante 880 Il divino poter sgombra la via; Torna ciascuno de’ divelti monti Alla sua sede; udîr sua voce, e tosto Mossero obbedïenti: il ciel ripiglia L’usato aspetto, e di novelli fiori 885 Ride sparsa ogni valle, ogni collina. La sciagurata oste ribelle il vide, Ma vie più s’ostinò; per nova pugna, Stolta! raccolse le sue forze e speme Prese dal disperar. Ah! rabbia tanta 890 In Spiriti celesti ebbe ricetto? Ma quali meraviglie e quai prodigi Quei pertinaci cor, quel cieco orgoglio Potean piegar? La lor protervia a quanto Più frangerla potea, si fe’ più dura. 895 La vista di sua gloria in essi innaspra Il dolore, il livor, e a tanta altezza Pur agognando, a ricompor più feri Si dan le squadre lor, per forza o frode Fermi d’aver di Dio vittoria alfine, 900 O nell’estrema universal ruina Cader ravvolti: di ritratta o fuga Ogni pensier quindi han sbandito. Intanto Alle fide coorti a destra e a manca Il gran Figlio di Dio così favella: 905 - Statevi pur, d’Angeli e Santi o voi Rifulgenti ordinanze, oggi dall’armi Vi rimanete, de’ suoi fidi accette Furo all’Eterno le guerriere prove, E il valore invincibile ch’ei dievvi, 910 Mostraste appien; ma ad altra man s’aspetta Su quella ciurma rea scagliar la pena; Egli medesmo il debbe, o il braccio solo Ch’ei destinò vindice suo. Di questo Giorno l’impresa, no, d’armate mani 915 Copia non chiede. Statevi, e mirate Come di Dio per me sovra quest’empj Si versi l’ira. Io fui, non voi, l’oggetto De’ lor dispregi, anzi del lor livore, E tutta contro me lor rabbia han volta, 920 Perocchè il Padre, a cui del ciel la somma Gloria appartiensi, la possanza e ’l regno, A suo grado onorommi. Il lor gastigo Ei quindi a me rimise, ei vuol che a prova Vengan, com’è lor brama, e chi più forte 925 Di noi pugnando sia, scorgano alfine, Od essi insieme, o contro loro io solo. Tutto è per lor la forza; ogn’altro pregio E chi in quello gli avanza, hanno in non cale; Fuorchè di forza dunque altra contesa 930 Con essi aver non vo’. - Disse, e il sembiante Di tal terror vestì, che alcun la vista Non potè sostenerne, e furïoso Su i nemici si spinse. A un punto i quattro Cherubini spiegâr l’ampie stellate 935 Ali che fean congiunte orribil’ombra; E col fragor di ruinoso fiume O d’oste innumerabile, si mosse Il fero carro. Contro gli empj, fosco Qual notte, egli s’avventa; il fisso empiro 940 Tutto crollò sotto l’ardenti ruote, Fuorchè il trono di Dio; già loro è sopra, Già dieci mila folgori nel pugno Stringe, innanzi gli manda, e, tra le folte Schiere balzando, atroci spasmi infigge 945 Nell’alme scellerate. Ecco ciascuno Di quegli audaci ogni coraggio e forza Perduto ha già, lor cadono di mano Le inutili armi: sopra scudi ed elmi E d’elmo invan coperte teste ei passa 950 Di stramazzati Serafin possenti E Troni che, qual schermo al suo furore, Le divelte montagne allor bramaro Aver pur anco addosso. In ogni parte Fioccan non meno tempestosi i dardi 955 Dalla faccia quadruplice dei quattro Tremendi occhiuti e dalle vive ruote D’occhi infiniti anch’esse sparse. Tutti Gli regge un solo spirto; ogni occhio spande Su i maladetti orrido lume, e tale 960 Scocca foco feral che infermi, emunti Tutti li lascia del vigor primiero, Sbigottiti, sfiniti, oppressi e domi. Pur la metà del suo poter non volle Mostrare il vincitor, ma a mezzo il corso 965 L’empito di sue folgori rattenne; Chè struggerli non già, ma sol dal cielo Sterminarli disegna. Egli dal suolo Gli abbattuti rïalza, e a sè davanti, Qual affollata paurosa mandra, 970 Con furie e con terror gl’incalza e spinge Agli estremi confini, al cristallino Muro del ciel, ch’ampio si fende, indentro, Si ripiega, s’attorce, e vêr gli abissi Vasta disserra spaventevol gola. 975 A quella vista mostruosa indietro Trassersi con orror, ma li rìpinse Lo spavento maggior che aveano a tergo: Dall’altezza del ciel giù capovolti Gittansi, ed han l’ardente, eterno sdegno 980 Sempre alle spalle per l’immensa via. L’insoffribil fragore udì l’inferno, E vide il ciel precipitar dal cielo; Tremonne tutto e ne fuggìa, se meno Alto gittate il Fato avea le nere 985 Sue basi e meno saldamente avvinte. Cadder per nove dì: mugghiò stordito Il Caosse, e del suo sconvolto regno Ben dieci volte s’addoppiò l’orrore, Tal l’ingombrò ruina! Alfin sue fauci, 990 Quant’eran larghe, spalancò l’inferno, Tutti ingoiolli e sovra lor si chiuse; L’inferno degna di quegli empj stanza, D’inestinguibil foco atra vorago, D’ogni dolor, d’ogni miseria albergo. 995 Scarco di lor s’allegra il cielo, e tosto Richiude il muro suo, che al loco torna Donde ravvolto s’era. Il trionfante Suo carro indietro il vincitor ritorce: Tutti gli Angeli suoi che muti in prima 1000 Stavan sue gesta ad ammirar, con alti Plausi gli vanno incontro, e in man ramose Palme tenendo, ogni ordine lucente Lui di vittoria Re cantando esalta, Lui, figlio, erede e donno, a cui fu dato 1005 Scettro, e ’l più degno è di regnar. Per mezzo Al cielo in pompa trionfale ei passa Alla sublime reggia, al tempio santo Del Padre suo, che in trono eccelso assiso Nella sua gloria lo raccoglie, ov’ora 1010 Gli siede a destra nel gioire eterno. Così agli oggetti di quaggiù le cose Celesti assomigliando, a farti meglio Per quel ch’avvenne accorto, io ti svelai, Come bramasti, ciò che forse all’uomo 1015 Fora stato altrimenti ognor nascoso; Qual s’accese nel ciel discordia e guerra Fra le angeliche squadre, e quanto acerba Fu la sorte di lor che ribellanti Con Satáno aspirar tropp’alto osaro. 1020 Pel tuo felice stato or ei si strugge D’amara invidia e macchinando stassi Come sedur, come nel fallo stesso Trar con seco ti possa, e di sua pena, Dell’eterno suo duol vederti a parte. 1025 Questo un sollievo, una vendetta fora Dolce per lui che a far dispetto agogna Al Re del ciel così. Chiudi l’orecchio Al tentator nemico, avverti e reggi Lei ch’è di te men forte, e quale il frutto 1030 Sia del disubbidir, dalla tremenda Narrata istoria aver ti giovi appreso. Potean star saldi e caddero: rimembra Il fero caso e di fallir paventa.

ADAM  AND  EVE."   AUTORE:  GUSTAVO  DORE'.    INCISORE:  PANNEMAKER.

 

* Il Paradiso perduto   (titolo originale: Paradise Lost ), pubblicato nel 1667 , è il poema epico  in versi sciolti (blank verse ) di John Milton  che racconta l'episodio biblico della caduta dell'uomo : la tentazione di Adamo  e Eva  a opera di Satana  e la loro cacciata dal giardino dell'Eden .

Fu pubblicato per la prima volta nel 1667 , in dieci libri; seguì una seconda edizione, del 1674 , divisa questa volta in 12 libri (in imitazione della suddivisione dell'Eneide  di Virgilio ) con delle piccole revisioni nel testo e l'aggiunta di una nota sulla versificazione.

Il poema tratta il racconto ebraico  - cristiano  - islamico  della caduta dell'uomo: la tentazione di Adamo  ed Eva  da parte di Lucifero , e la loro cacciata dal Giardino dell'Eden . Il fine di Milton, espresso nel primo libro, è "svelare all'uomo la Provvidenza eterna " (I, 26) e spiegare il conflitto tra tale Provvidenza eterna e il libero arbitrio.

Il personaggio principale del poema è Satana , l'Angelo caduto . Letto attraverso un prospettiva moderna, a taluni può sembrare che Milton rappresenti Satana in modo positivo e compassionevolmente, come un essere ambizioso e orgoglioso che sfida Dio Onnipotente , suo tirannico creatore, e muove guerra contro il paradiso , per esser poi sconfitto e fatto precipitare in terra. Per meglio dire, William Blake  (1757 -1827 ) grande ammiratore di Milton e illustratore di tale poema epico, disse di Milton che "era un vero poeta, e stava dalla parte del diavolo senza saperlo ".

Vicenda.

La storia è suddivisa in 12 libri, contro i 24 dei poemi omerici dell'Iliade  e dell'Odissea . Il libro più lungo è il IX, con 1189 versi, mentre il più breve, il VII, consta di 640 versi. Ciascun libro è preceduto da un sommario, intitolato L'Argomento . Il poema, seguendo la tradizione epica, inizia in medias res ("in the midst of things "), essendo poi l'antefatto esposto nei libri V-VI...

L'opera di Milton narra due vicende: quella di Satana e quella di Adamo ed Eva. Quella di Satana (o Lucifero) rende omaggio agli antichi poemi epici  di argomento guerresco. Inizia in medias res, dopo che Lucifero e gli altri angeli ribelli sono stati sconfitti e scaraventati da Dio nell'Inferno. Nel "Pandemonio ", Lucifero deve impiegare le sue abilità retoriche per far ordine tra i suoi seguaci; è affiancato dai suoi fedeli tenenti Mammona  e Belzebù . Alla fine della discussione, Satana si offre volontario per avvelenare la Terra, appena creata. Affronta da solo i pericoli dell'Abisso in un modo che ricorda molto quello di Ulisse  e di Enea  dopo i loro viaggi nelle regioni ctonie dell'Oltretomba.

L'altra vicenda è fondamentalmente diversa, una nuova sorta di epica: quella "domestica ". Adamo ed Eva vengono presentati per la prima volta, nella letteratura cristiana , come dotati di attività anche prima di essere macchiati dal peccato: essi hanno passioni, personalità e sesso . Satana tenta Eva con successo, approfittando della sua vanità e ingannandola con la sua dialettica; Adamo, vedendo che Eva ha peccato, commette coscientemente il medesimo errore, mangiando anche lui il frutto proibito. In tal maniera, Milton ritrae Adamo come un personaggio eroico, ma anche come un peccatore ancor più grande di Eva. Dopo aver compiuto il peccato originale, essi hanno ancora caratteristiche sessuali, ma ora con una nuova sorta di sensualità che prima non possedevano. Dopo aver preso coscienza del loro errore, quello appunto di consumare il frutto  dell'Albero della conoscenza , Adamo ed Eva prendono a lottare. Ad ogni modo, le suppliche di Eva ad Adamo fanno sì che i due si riconcilino. Adamo intraprende un viaggio visionario con un angelo , nel quale è testimone degli errori dell'uomo e del Diluvio universale , ed è incommensurabilmente rattristato dal peccato  che hanno commesso attraverso l'assunzione del frutto. Ad ogni modo, gli viene anche mostrata la speranza, e cioè la possibilità di redenzione, attraverso la visione di Gesù  Cristo. Essi, successivamente, vengono banditi dall'Eden , e un angelo aggiunge che qualcuno potrà trovare "un paradiso dentro di sé ". Adamo ed Eva, ora, hanno un rapporto più distante con Dio, il quale è onnipresente ma invisibile, a differenza del tangibile Padre nel Giardino dell'Eden.

Personaggi principali.

Satana.

Inizialmente conosciuto come Lucifero, egli era un orgoglioso angelo che non riusciva a pensare a se stesso uguale agli altri angeli. Il giorno in cui Dio nominò il Figlio suo successore al potere, Lucifero si ribella a causa della propria invidia, prendendo con sé un terzo dell'intera popolazione di angeli del Paradiso. Egli è enormemente pieno di sé, e sicuro di poter abbattere Dio; le sue parole sono sempre fraudolente e ingannevoli. Assume varie forme nel corso della storia, le quali sono il riflesso della sua decadenza morale e razionale. Prima è un angelo caduto di considerevole levatura; successivamente un umile cherubino ; un cormorano ; un rospo ; e infine un serpente . Tutto ciò è la raffigurazione di un'incessante attività intellettuale, senza alcuna abilità di pensare adottando un'ottica morale.

Adamo ed Eva.

Adamo è forte, intelligente e razionale, nato per la meditazione e la prodezza, e prima della caduta è perfetto esattamente come ogni essere umano potrebbe essere. È però caratterizzato anche da imperfezione, dacché talvolta s'abbandona a imprudenze e ad atteggiamenti irrazionali. Come conseguenza della caduta, la sua ragione pura e il suo intelletto vengono da lui persi, e l'uomo non è più capace di conversare alla pari con gli angeli (come fece con l'Arcangelo Raffaele ), ma è come unilaterale (come si vede, con l'Arcangelo Michele , dopo la caduta). Il suo punto debole è l'amore  per Eva. Egli confida a Raffaele che la sua attrazione per lei è travolgente, qualcosa che la sua ragione non è in grado di vincere. Dopo che Eva si nutre dall'Albero della Conoscenza, egli decide di compiere lo stesso atto, avendo realizzato che se lei è votata a ciò, egli deve seguirla nel suo destino infausto, per non perderla - anche se ciò significa disobbedire a Dio.

Eva è la madre di tutta l'umanità, inferiore ad Adamo nelle facoltà intellettive (perché l'uomo è considerato più vicino a Dio rispetto alla donna) e dotata di tenerezza e dolce grazia affettiva . Ella lo supera nella bellezza, per la quale essa stessa s'innamora della propria immagine al rimirarla nel riflesso in uno specchio d'acqua (qui v'è un richiamo al mito greco di Narciso ). È proprio la sua vanità a essere sfruttata da Satana per persuaderla a nutrirsi dall'Albero della Conoscenza, per mezzo di lusinghe. Eva è chiaramente intelligente, ma a differenza di Adamo non è desiderosa di apprendere, essendo infatti assente nella conversazione di Adamo e dell'Angelo Raffaele nel libro VIII, e nelle visioni di Adamo presentate da Michele nei libri XI e XII. Eva non crede che sia suo compito andar in cerca della conoscenza in modo indipendente; preferisce invece che Adamo gliela trasmetta solo in un secondo momento. Il primo caso in cui evade dalla sua passività è quando s'avventura fuori da sola e finisce con l'ingerire il frutto proibito.

Dio.

Il Dio miltoniano è onnisciente, onnipresente e onnipotente: ciò sta a dire che egli ha prescienza degli eventi futuri, però non predestina - cosa che negherebbe interamente l'idea del libero arbitrio. La difficoltà nell'interpretazione del personaggio di Dio nel Paradiso Perduto  è che è più una personificazione di idee astratte che un essere reale; egli è incarnazione della pura ragione (infatti, vi è un'interpretazione che vede in Satana la passione che combatte la ragione, facendone un'anticipazione dell'eroe romantico). Egli permette che il male accada, ma crea il bene dal male. Il critico letterario William Empson (1906 -1984 ) ha chiarito molti dubbi dei lettori sul Dio di Milton nella sua influente opera, che porta lo stesso nome.

Il Figlio.

Il Figlio è la manifestazione di Dio nell'azione, il collegamento fisico tra Dio il Padre e la sua creazione, formando insieme a lui un Dio perfetto e completo. Personifica l'amore e la compassione e decide spontaneamente di morire per l'umanità, per redimerla, mettendo in luce la sua dedizione e il suo altruismo. Attraverso la sua forma umana, il Figlio verrà fatto discendere da Adamo, per mezzo del quale tutti gli uomini furono morti; ma egli sarà un secondo Adamo, per mezzo del quale tutti gli uomini saranno salvati. Nel Giorno del Giudizio , il Figlio apparirà nel cielo, avrà chiamato a raccolta da ogni angolo del mondo tutti, e condannerà i peccatori all'Inferno. L'ultima visione di Adamo, nel libro XII, è il sacrificio del Figlio come Gesù.

  WOOD ENGRAVING - GRAVURE SUR BOIS - HOLZSTICH - XILOGRAFIA.

XILOGRAFIA  ORIGINALE  (TIRATURA  D'EPOCA)  ESTRATTA  (TOLTA)  DALL'OPERA: "IL  PARADISO  PERDUTO  DI  GIOVANNI  MILTON",  TRADOTTO  DA  LAZZARO  PAPI,  CON  ILLUSTRAZIONI  DI  GUSTAVO  DORE';  MILANO, STABILIMENTO  DELL'EDITORE  EDOARDO  SONZOGNO,  1881.

L'INCISIONE  E'  UNA  TAVOLA  A  PIENA  PAGINA, CON  MARGINI  BIANCHI  E  RETRO  BIANCO, HA  PIU'  DI  135  ANNI  ED  E'  IN  BUONO  STATO,  E' BELLISSIMA,  ABBASTANZA  NITIDA,  MOLTO PITTORESCA  E  SUGGESTIVA.  MISURE  PAGINA  cm  23,5 x 34,  MISURE  PARTE  INCISA  (LA  SOLA  IMMAGINE)  cm  20 x 25  CON  MARGINI  BIANCHI,  MISURE  CON  PASSEPARTOUT  cm  32 x 39,  RETRO  BIANCO.

 

L'INCISIONE VIENE FORNITA COMPLETA DI UN PASSEPARTOUT DI TIPO PROFESSIONALE A SMUSSO, DI COLORE AVORIO, CHE TRASFORMA L'IMMAGINE IN UN PEZZO UNICO DA COLLEZIONE.

 

 

ATTENZIONE! QUESTA é UN'ASTA DEDICATA AGLI APPASSIONATI DI STORIA LOCALE, DI STORIA DEGLI USI E DEI COSTUMI DELLE GENTI ITALICHE, DI STORIA DELLE ARTI E DEI MESTIERI, AGLI AMATORI D'ARTE  E DEL BELLO IN TUTTE LE SUE MANIFESTAZIONI E AI COLLEZIONISTI DI PICCOLO ANTIQUARIATO CARTACEO: CHI NON HA DIMESTICHEZZA CON QUESTO GENERE DI COSE é PREGATO DI NON FARE OFFERTE O COMUNQUE DI CHIEDERE PREVENTIVAMENTE MAGGIORI INFORMAZIONI.

 

DI COSA SI TRATTA? Per essere il più chiaro possibile (per i non esperti): SI TRATTA DI UNA PAGINA ORIGINALE DI UN LIBRO ORIGINALE DEL 1881; QUESTA PAGINA ORIGINALE DEL 1887 E' STATA TOLTA DAL LIBRO ORIGINALE DEL 1881 ED E' STATA INSERITA DENTRO UN PASSEPARTOUT DI TIPO PROFESSIONALE A SMUSSO (CON IL TAGLIO INTERNO NON DIRITTO MA SMUSSATO, DI SBIECO), PASSEPARTOUT CHE E' STATO TAGLIATO SU MISURA APPOSTA PER L'IMMAGINE XILOGRAFICA CONTENUTA IN QUESTA PAGINA, IN MODO DA POTERLA VALORIZZARE IL PIU' POSSIBILE E PER CONSENTIRNE LA SUCCESSIVA INCORNICIATURA (CHE E' CONSIGLIABILE: L'OGGETTO E' PRONTO PER ESSERE INCORNICIATO).

 

Insieme a questa incisione riceverete GRATUITAMENTE un piccolo CERTIFICATO ARTISTICO DI GARANZIA, con l'indicazione di tutte le notizie in mio possesso relative all'opera acquistata.

ATTENZIONE, SI TRATTA DI UN'IMMAGINE INGRANDITA, PER FARE VEDERE  IL PIU' POSSIBILE I DETTAGLI DELL'OGGETTO: LE DIMENSIONI REALI  SONO PIU' PICCOLE E SONO RIPORTATE NELLA DESCRIZIONE DELL'OGGETTO IN MODO PRECISO ED INEQUIVOCABILE: AL MEZZO CENTIMETRO!!!      

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  • Condition: Oggetto usato: è una stampa antica che ha più di cento anni, quindi non può essere un oggetto nuovo (se lo fosse sarebbe un falso), é un oggetto usato.

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